da " Il quotidiano della Basilicata"
Tranfaglia analizza la mafia come metodo
di Francesco Altavista
Torino – Le organizzazioni mafiose occupano un
posto importante nella storia italiana , hanno un ruolo centrale nell’Italia post –unitaria , ma le origini
arrivano da prima, alla fine delle grandi rivoluzioni del settecento. Radici così forti e cambiamenti così radicali
nel tempo che hanno consentito alla mafia di condizionare le scelte dello Stato, ne ha
impregnato alcuni meccanismi e deve quindi occupare uno spazio rilevante nella discussione storica e politica della
democrazia italiana. Chiunque voglia fare su
questo tema di coabitazione tra
mafia e Stato, una discussione sensata fuori da qualsivoglia banalità e
populismo spicciolo, deve per forza confrontarsi con gli scritti del professor
Tranfaglia, un vero esperto, un lucido osservatore e scrupoloso ricercatore storico della mafia.
Da questo mese è in libreria proprio un suo saggio per “ Mondadori Scuola”
una riedizione de “ La mafia come metodo” pubblicato la prima volta nel 1991
per “ Laterza” ed oggi completamente
rivisto ed aggiornato. E’ un lavoro davvero interessante che va ad
analizzare la storia delle
organizzazioni mafiose,evidenziandone gli sviluppi e la dinamicità rispetto al
cambiare dei punti di riferimento sociali, politici ed economici. Un lavoro multidisciplinare che
guarda anche alla storia del sud
in un analisi anche antropologica e politica in senso lato, si parla di
“ questione meridionale” e si guarda ai
profili di personaggi da sempre controversi
come Sindona e Andreotti, il tutto
trattato con elegante distacco emotivo, senza romanticismi
romanzati e con lucida analisi volta
alla ricerca di una verità storica. E’ un testo fondamentale per chi vuole
capire il fenomeno mafioso ma anche per farsi possessore di elementi necessari
per leggere la realtà, perché questo lavoro è anche un esempio di come certi
fenomeni dalla doppia faccia vanno trattati per non cadere nell’involgarimento. Il professore di origini lucane Nicola Tranfaglia, preside della facoltà di “ Lettere e filosofia
“ di Torino, docente di storia contemporanea, editorialista per importanti
quotidiani e con alle spalle una intensa
attività storica, scientifica e politica (
stato deputato per più legislature) oltre che condirettore della rivista "Studi Storici" e
membro del comitato scientifico
della “Fondazione Nazionale Antonio Gramsci”, si concede per ad
un’intervista per “ Il quotidiano della
Basilicata”.
Professore,alla luce
delle scoperte di infiltrazioni nella giunta
della Regione Lombardia, cosa nel fenomeno mafioso è cambiato in questi anni ?
«Quello che io le posso dire che a mio avviso il fenomeno
più importante che è avvenuto negli ultimi decenni è in qualche modo il
trasferimento, il passaggio dei metodi mafiosi dai clan alla società italiana. Dalle
commissioni parlamentari d’inchiesta sulla mafia che sono state create nella
nostra repubblica solo a partire dal
1963, ed abbiamo avuto relazioni importanti solo in quella del democristiano Cattanei
nel 1972, si comprende che queste società mafiose sono riuscite a poco a poco a trasferire i
loro metodi alla società italiana stessa, a non dividere più in modo netto la
legalità dall’illegalità. In questo paese oggi la cosa più difficile è affermare la legalità.
C’è la necessità di considerare la mafia come un fenomeno centrale e non collaterale.»
Nel suo saggio “ La
mafia come metodo” parlando dell’operato del fascismo e di Cesare Mori il prefetto
di Ferro, lei ha ravvisato delle criticità, la repressione
anche violenta non basta anzi
addirittura in qualche modo consente alla mafia di “conservarsi”. Come si deve
combattere la mafia?
«Io sono convinto che combattere la mafia si può fare
soltanto nella misura in cui si riesce ad accompagnare alla necessaria
repressione della polizia e della magistratura, un’educazione civile delle
nuove generazioni perché soltanto se alle nuove generazioni si fa in modo di
dare gli strumenti di obbedienza alla costituzione e alla legge possiamo essere
più tranquilli su quello che sarà l’avvenire, se invece questo non si ha,
diventa molto difficile stroncare un fenomeno così interno e profondo del
nostro paese. Solo se si fanno insieme queste cose si riesce: repressione ed
educazione civile. D’altra parte chiunque
legga dei libri specializzati su questo fenomeno, sa che non esiste un metodo
facile per eliminarla, si tratta di fare un lungo lavoro.»
Secondo lei oggi, esiste
la volontà culturale di combatterla?
«Non la vedo anche perché non abbiamo a livello di stampa,
dei mezzi di comunicazione, un
informazione tale che permetta alla
grande maggioranza dei cittadini di
essere informati su questo fenomeno. Soltanto se ci sarà una informazione adeguata del fenomeno mafioso
e io non lo vedo ancora nel nostro paese,sarà possibile un movimento culturale.»
Nella lotta alla
mafia, come giudica le scelte della
politica ?
«Il sistema politico italiano mi sembra abbastanza lontano
dalla società italiana. A me è accaduto di recente di leggere il disegno di
legge sulla corruzione e di costatare
l’assenza di cose come il falso in
bilancio e di altri aspetti di lotta alla corruzione che sono necessari.
Rimaniamo nell’incertezza di dire : approviamo comunque una legge perché non c’è
nessuna legge. Sarebbe forse meglio
cercare di codificare affondo questa norma.»
Professore passiamo
alla parte storica. Perchè la mafia nasce dopo le rivoluzioni ?Hanno avuto un
ruolo nel fallimento di queste ultime
come quella partenopea del 1799?
«Le grandi rivoluzioni hanno il ruolo nell’Europa del tempo
di modificare i rapporti tra le classi, di far nascere un attivismo che prima
non c’era stato da parte di una parte della borghesia e di quello che veniva chiamato il proletariato. Questa
modifica del ruolo delle classi è alla base della creazione di nuove società
segrete. Certo allora nel 1799 ci fu un grande massacro da parte dei Borboni,
gli intellettuali non seguono in maniera precisa quello che dicono le singole
forze politiche e quindi sono difficili e scomodi per il potere, tuttavia non credo che la mafia in questo
fallimento sia intervenuta, dobbiamo
dire che in quel periodo le organizzazioni mafiose erano all’inizio , si sono
sviluppate nel periodo delle grandi rivoluzioni dell’Unità. Successivamente
hanno avuto un ruolo sempre importante e
credo che lo abbiano anche ora.»
A proposito di “
Unità”. In molti dicono che per la conquista del sud la mafia abbia avuto un
ruolo importante. E’ dello stesso avviso ?
«Io non credo che abbiano avuto un’importanza decisiva.
Credo che le organizzazioni ci fossero e cercassero di portare accanto alle
rivolte i propri interessi. L’Unità non
credo sia stata influenzata in maniera decisiva dalla presenza delle
associazioni mafiose. Certo quando Garibaldi arrivò tantissimi che pure
facevano parte dell’associazioni mafiose lo seguirono ma era il vento del
cambiamento, non hanno avuto un ruolo decisivo per quello che posso dire come
storico.»
In questo libro lei
parla di un rapporto certificato
tra Sindona ed Andreotti. Tenendo
conto di questa vicenda che vede il potere mafioso, quello finanziario e quello
politico alleati,quanto secondo lei la mafia entra in questa crisi finanziaria?
«Il caso di Sindona è il caso di un uomo di finanza che è
cresciuto in collaborazione con Cosa Nostra ed ha avuto anche rapporti vicini
con il senatore Andreotti, l’avevo già scritto nel 2003 nel libro “ La sentenza Andreotti”. In questo
libro ho detto che c’è stata una vicinanza per molto tempo tra Sindona e
Andreotti. Questo è l’elemento che storicamente possiamo valutare. D’altra
parte Andreotti è stato ritenuto colpevole fino al 1980, copre tutta la sua
amicizia con Sindona, io non credo che dopo non ci sia stato nessun rapporto ma
mi rifaccio ai documenti ed effettivamente la sentenza riconosce questa vicinanza.
La mafia è presente in ogni parte della società, è presente anche nelle società
finanziarie. Esistono però poche indagini recenti sulla presenza delle mafie in
queste società, perché sono molto difficili da fare eppure possiamo dire che
sicuramente ci sono delle presenze mafiose. Basta pensare alla speculazione che è uno degli aspetti di
cui la mafia si serve per ottenere lucro
in modo parassitario sulla produzione
reale. E’ molto facile che ci sia questa presenza e tuttavia non esistono
indagini storiche serie a parte il caso Sindona di cui appunto c’è un alta
bibliografia,sulle successive vicende
finanziarie non ci sono libri recenti che abbiano perseguito la stessa indagine»
Lei fa una puntuale
analisi anche in questo libro sulle vicende del senatore Andreotti. Come si può
spiegare ad un profano perché un personaggio del genere è senatore a vita?
«Andreotti è stato nominato senatore a vita da Francesco
Cossiga altro personaggio piuttosto controverso su cui esiste un buon libro dal
mio amico Nando Dalla Chiesa figlio del generale. In cui si vede come Cossiga
abbai avuto dei rapporti con servizi segreti non italiani. Da questo punto di
vista c’è un filo che mostra questo tipo di legami che hanno caratterizzato
sempre la storia italiana specie repubblicana
ma non solo quella.»
In questo saggio lei mostra come le organizzazioni
mafiose si leghino al modello economico e viceversa. Esiste un legame tra mafia e sviluppo del capitalismo ?
«E’ difficile dire questo, il capitalismo è il fenomeno economico
che ha vinto a livello mondiale, dopo la caduta del comunismo. Se vediamo anche il fenomeno cinese, uno dei
paesi più forti, ci accorgiamo di avere un capitalismo curioso, iconografia del
comunismo ma che non ha nulla a che fare con il comunismo. Ci sono vari tipi di
capitalismo: il capitalismo che favorisce di più la mafia è il capitalismo che
non ha regole, capitalismo che serve lo stato moderno. In Italia abbiamo un
capitalismo egemone nel paese, anche perché abbiamo un’informazione che come è
noto fa riferimento alle grandi imprese capitaliste. Queste ultime usano in qualche modo le associazioni mafiose e
metodo mafioso per affermare l’egemonia di gruppi vincenti rispetto a quelli
perdenti In questo senso c’è una rivincita della mafia sul capitalismo. Si
tratta di un capitalismo non paragonabile a quelli del nord Europa. Certo oggi
le associazioni mafiose ci sono in tutti i paesi europei, la mafia ha una
capacità di penetrazione maggiore di quella dell’800 e primo 900, la capacità è
molto forte e pericolosa.»
Lei ne parla in
questo saggio , perché la “ Questione Meridionale” è ancora irrisolta?
«Io sono convinto che la “Questione Meridionale” non sia
stata affrontata come divario tra nord e sud, non è stata mai risolta da nessun
governo in tutta la nostra storia, né il governo tecnico ha messo in campo
azioni adeguate questo problema. Per ora non abbiamo nessuna sicurezza che il
fenomeno sia affrontato, per chi come me , vive al nord e si sente sempre meridionale è una questione di angoscia
molto forte.»
In conclusione. La mafia ha interpretato i tempi meglio della politica?
E’ finito secondo lei il tempo delle stragi?
«Secondo me non l’ha interpretata meglio ma si muove con una
velocità che il nostro Stato non ha. L’elemento a vantaggio della mafia,
possiamo dire, è il fatto che ha cercato
di creare un mondo che sarebbe ancora peggiore di quello in cui viviamo. Si è
mossa in maniera rapita ed efficace per affermare il dominio, ed è una
gravissima ingiustizia sociale ed economica nei confronti degli italiani. La
mafia è riuscita meglio dello stato nel suo sviluppo, nella sua crescita. Noi
non possiamo mai dire che le stragi sono finite. Quando ci furono c’era una
difficoltà delle associazioni mafiose e la presenza di magistrati che in parte
ci sono ancora in alcuni tribunali molto decisi a lottare. Questo fenomeno
delle stragi è tipico delle crisi politiche e morali e quello che poso dire è
che ora siamo in un periodo di grave crisi morale e politica del paese. Su
questo mi pare che non ci siano dubbi.»
Il suo prossimo libro?
«Il mio prossimo libro è un progetto che ho già cominciato a
scrivere. Una breve storia dell’Italia unita dal 1861 ad oggi. E’ un’impresa
difficile che mi appassiona molto. Dal 1848 fino ad oggi, uscirà nel maggio
2013, all’indomani delle prossime elezioni politiche.»
Cosa è la Bellezza?
« La Bellezza è la capacità di realizzare la partecipazione
di tutti al bene comune. Partecipare di vita alla vita di tutti.»