lunedì 24 dicembre 2012

Colpi di Fulmine,Arisa è Tina da Pignola

da " Il quotidiano della Basilicata"

Arisa con De Sica  in " Colpi di Fulmine" 



di Francesco Altavista 




----  Il Natale sui film fa lo stesso effetto del freddo inverno  sui cerri, li spoglia di ogni bellezza riducendoli a scheletriche ombre di ciò che  normalmente dovrebbero essere. “ Colpi di Fulmine” per la regia di Neri Parenti che ne scrive anche la sceneggiatura insieme a Saverni, Bencivenni e De Biase, non doveva essere, almeno leggendo le presentazioni, il solito film natalizio e invece  è un cine – panettone a tutti gli effetti, a dirla tutta ,anche un po’ indigesto. Neri Parenti non abbandona il suo stile di anti cristo, si burla del Papa, dei preti e addirittura nella prima storia affida la parte di un villoso e vizioso sacerdote al noto anticlericale e vignettista  Vauro Senesi. Questa satira vaticana poteva essere una buona cosa e invece “ Colpi di Fulmine” diventa solo un  colpo,  allo stomaco e alla testa in una sceneggiatura che mostra allo spettatore profonde e incolmabili voragini, il fulmine probabilmente arriva ma  evocato più volte da chi guarda il film. Quest’ultimo  è diviso in due storie indipendenti  ed è la seconda vicenda  a salvare in parte la pellicola. L’intreccio non è niente di eccezionale, una storia già sentita di due mondi che per amore si incontrano: l’ambasciatore che si innamora di una burina pescivendola  ed è costretto a dimenticare i suoi modi signorili per conquistarla.Non è  quindi   la vicenda narrata, talmente banale a tratti da sradicarla da quel poco di romanticismo che fa sempre bene ai film mediocri, a dare alla  pellicola un minimo di salvezza  ma è la straordinaria comicità d’autore di Lillo e Greg e la bellezza di Anna Foglietta classe 1979 insieme ad un cast forse più interessante della  prima storia a svegliare un po’ il pubblico. Nonostante questo la non attrice per eccellenza di questa pellicola, anche se ormai ha nel suo curriculum ben tre film ,  la lucana Arisa, tra gli attori della prima storia,  non dispiace: certo la parte scelta per lei è quella della perpetua Tina da Pignola che probabilmente, nonostante farà contenti i suoi compaesani nominando la sua cittadina arricchendola da frasi in vernacolo pignolese, la mortifica un po’. 


Non solo perché ancora una volta è costretta a vestire i panni della religiosa e si innamorerà suggellando con un bacio finale del sacrestano interpretato da  Simone Barbato che, con tutto il rispetto, non è al suo livello; ma anche perché fa la parte della maschera e  della caricatura comica che ha poco da dire, un ruolo che nella vita ha cercato di scacciare in tutti i modi. Certamente è lei Tina da Pignola  la spalla più divertente dei dialoghi del protagonista assoluto Cristian De Sica : un medico che per scappare dalla finanza si finge prete in un paesino del Trentino. De Sica è il padrone assoluto di una storia insulsa e  piccola di cui non si ricorda quasi niente. Forse per appartenenza ma tra ciò che rimane nella memoria c’è Arisa perché con umiltà si confronta con il suo ruolo, non poteva  fare cose eccezionali e si è  accontentata  di fare poche cose e semplici, nella recitazione senza energia   non sbava e  non cattura più di tanto la cinepresa e l’attenzione del pubblico; nel film che si conclude con un pezzo cantato,  è lei a dare il via alla canzone ed è la sua voce da cantante (il suo mestiere è bene che non lo dimentichi) che primeggia sulle altre nel ritornello: ” Basta un sì per vivere Felici”. E’ un po’ come se il pubblico per Arisa fosse come  un genitore che va alla recita del figlio piccolo e anche dopo una prestazione non certamente esaltante gli lancia qualche caramella.

Sarebbe stata comunque  l’attrice più  ricordata se non ci fossero state :  la bravissima e bellissima Luisa Ranieri, protagonista femminile nella parte del maresciallo dei carabinieri che tutti vorrebbero avere nella propria città,assolutamente di un altro livello attoriale rispetto a tutto il cast ma terribilmente limitata dalla sceneggiatura e  l’affascinante Debora Caprioglio nella parte di una incantevole edicolante che nella realtà risolleverebbe certamente il mercato editoriale.  Se questa storia incoerente e non coesa certamente non ha aiutato Arisa, ha addirittura demolito  Cristian De sica  che esce da questo film come il pubblico esce dalla sala del cinema con animo  impalpabile e con gli occhi al prezzo del biglietto.

domenica 23 dicembre 2012

Intervista: Cristina Donà una voce al femminile

da " Il quotidiano della Basilicata"

Cristina Donà una voce al femminile


di Francesco Altavista



Tito –  E’ un programma interessantissimo  fatto di arte e riflessione quello del festival  “Al femminile” organizzato dalla Regione Basilicata  alla sua seconda edizione distribuito in due giorni.  La  giornata di ieri, al ridotto del teatro “ Stabile “di Potenza  è stata dedicata al tema :  “Donne nella crisi. Là dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva”.  Oggi la giornata più attesa con  la chiusura del festival  attraverso l’arte  al centro per la  creatività “ Cecilia “ di Tito, tutto rigorosamente ad ingresso libero. Si parte con il ballo alle 20 :  la “ Compagnia junior del Balletto Lucano”  con le coreografie di Loredana Calabrese presenta  lo spettacolo “ Centomondi”; alle 20 e 30 sarà il momento del teatro con la presentazione del progetto  teatrale “ Abracadabra. Storia dell’avvenire “ ad opera di Carlotta Vitale  e del progetto “ Scatole . Primo Studio su M.” ad opera di Mimmo Conte entrambi della compagnia “ Gommalacca Teatro”. Il main event del festival si avrà a partire dalle 21 e 30  con il concerto della straordinaria Cristina Donà per la prima volta con la sua musica in Basilicata. L’artista chiuderà proprio a Tito il suo entusiasmante tour  cominciato dopo l’uscita del suo ultimo disco: “ Torno a casa a piedi”.  Le bella Cristina Donà  mostra tutta la sua disponibilità, simpatia e gentilezza in  un’intervista in anteprima per  “ Il quotidiano della Basilicata”.     
Cristina, “Torno a casa a piedi”  è il tuo ultimo disco, uscito nel 2011. Questo “andare a piedi”, indica un tuo amore verso la lentezza e verso  i tempi della bella poesia italiana?
«Sicuramente la poesia ha un tempo di stoccaggio  e di decantazione più lungo rispetto ad altri tipi di scrittura. La poesia poi   nasconde  dei segreti che si svelano piano. Segreti che non si esauriscono  mai. Questi sono dei concetti e delle prerogative  che cerco di applicare alle mie canzoni. L’idea che ci sia sempre  qualcosa di nuovo da scoprire all’interno di un brano che magari si  ascolta tante volte, è una cosa fantastica ed  indica una  lentezza  anche fisica  a cui non siamo più abituati, perché bombardati in continuazione da un mondo veloce. Lentezza e quindi poesia  è anche camminare, un gesto che va riscoperto anche per gustare l’altra metà di noi, l’altra metà dell’essere umano che  è la natura. Questa è una  parte di noi che abbiamo un po’ dimenticato.»



Perché la Basilicata per chiudere il tuo  tour ?  
«Io sono molto contenta  di suonare in Basilicata per tantissimi motivi. Uno  è  certamente legato al fatto che il nostro tecnico di palco, Michele Brienza che  lavora con me ormai da due anni ed è un persona eccezionale a cui voglio un bene enorme ed è un bravissimo tecnico( non ne ho conosciuti nella mia carriera di più bravi),  è di Potenza. Capisci che finire il tour in casa di Michele Brienza mi provoca  una grande emozione. Poi proprio il fatto di non averci mai suonato mi spinge a volerci suonare, un po’ anche per curiosità, per come potrebbe reagire il pubblico. In realtà però sono stata in Basilicata diversi anni fa con un mio amico giornalista. Lui doveva fare un servizio sui pozzi petroliferi  e io mi ero aggregata come fotografa. Abbiamo girato quattro giorni in Val D’agri, a Matera , Maratea e in altri paesi e  mi è piaciuta tantissimo. Ancora oggi porto con me lo stupore  della  varietà dei  paesaggi che ha la Basilicata. Sono poi  felice di esserci per essere stata inserita in un ottimo  programma, quello  del festival  “ Al femminile”.»
Hai detto di ispirarti a Lucio Battisti specie in quest’ultimo lavoro. Questo tuo amore per il pop  pensi che abbia fatto storcere il naso a qualche puritano dell’indie a tutti i costi?
« Io faccio la musica che mi piace, faccio musica che sento e  che penso possa arrivare agli altri  nella maniera migliore. Mi piacerebbe che fosse chiaro che non esiste questa distinzione tra indie e pop. Questa è una dimostrazione di ignoranza musicale mostruosa che io non tollero più ormai da diverso tempo. Negli anni 80 si veniva tutti dal punk. In Italia si conoscevano solo i soliti tre- quattro  accordi ed era facile dire il pop fa schifo, perché non si riusciva a fare.  Anche io all’epoca ero più talebana in questo senso, mi piacevano delle cose che poi ho scoperto  molto limitate a livello musicale.»


I tuoi primi dischi,quelli per la produzione di Manuel Agnelli erano molto  più cupi, più grigi. Oggi specie negli ultimi si assiste ad un’esplosione di colori e di dolcezza, si ascoltano con il sorriso. Ti sei staccata totalmente da quel mondo?
« Un cambiamento notevole c’era già stato al terzo disco, i primi due erano stati prodotti da Manuel Agnelli. Mi avevano affibbiato l’etichetta della “PJ Harvey  italiana” tra l’altro un’artista che amo ma volevo staccarmi per fuggire dal pericolo di dover fare sempre la stessa cosa. Non volevo cementificarmi in uno stile. Quindi già dal secondo album alcuni brani si staccavano dal primigenio sound;  con il terzo ho cercato di aggiungere dei tasselli. In questo ultimo album mi è venuto spontaneo scrivere in un  modo diverso, un po’ credo perché sono diventata mamma, ma più che altro  la  mia volontà era far passare dei messaggi importanti con leggerezza.»
A Tito sarai al “ Festival al femminile” organizzato dalla Regione Basilicata. Quanto è difficile oggi essere cantautrice, madre e moglie?
«L’Italia è  indietro sotto il profilo della libertà femminile. Non è un tipo di libertà palese, è un problema molto sottile che però si mostra nella sua orribile rovina nei  casi di femminicidio e di violenza. In un certo senso questo riflette un momento di instabilità tra l’uomo e la donna:  l’uomo non accetta questa nuova veste femminile:  una donna che è  indipendente, che decide magari di separarsi,  che lavora, che si realizza ed esprime la propria personalità,  una donna, quindi  che conquista le sue libertà. Non esiste in Italia poi  un’integrazione tra la famiglia e il sostegno delle strutture sociali, è difficile essere genitori e madri in questo Paese.  Probabilmente su questa mancanza di libertà ha  influito molto la presenza della chiesa che da sempre vede  la donna relegata in  un certo ruolo. Si deve permettere alle donne di essere madri, mogli e lavoratrici, in estrema libertà non è detto che per realizzarsi si debba  essere tutte e tre le cose. Questo non è un Paese che lo permette e mi fa sempre più schifo.»
Cosa è la Bellezza?
 «Ti rispondo con una frase di una mia canzone: “ la verità e la bellezza non fanno rumore”. E’ un qualcosa di cui non ti accorgi ma che abbiamo bisogno di cercare e  di trovare nelle nostre vite, perché la bellezza  è  il nostro equilibrio.»


Emozioni al buio con Cesare Picco

da "Il quotidiano della Basilicata"

Picco di emozioni al buio



di Francesco Altavista 


Potenza -  E’stato chiaro da subito che sarebbe stato qualcosa di straordinario ed inimitabile. Immediatamente si è avuta la sensazione che dopo  il viaggio che stava per cominciare, nulla sarebbe sembrato uguale; ad accogliere una marea di spettatori è un teatro “ Stabile “ di Potenza in penombra, perfino le luci verdi di segnalazione delle uscite erano coperte da spessi cartoni . Al centro del palcoscenico uno splendido  pianoforte a coda  nero e lucente. Il teatro potentino si riempie,  per “ Cose di teatro e musica “ è un successo di pubblico, la città accoglie lo spettacolo “ Blind Date” di   Cesare Picco a braccia tese verso l’ignoto e con una  curiosità che spalanca il cuore.  Per la prima volta, lo confessa lui stesso, Cesare Picco presenta il suo spettacolo:  prende la parola al centro del proscenio, sembra emozionato di vivere questa esperienza  in un teatro all’italiana anche questa per lui una prima volta e si sa sono queste le cose che non si scordano mai, specie per un artista così sensibile. Il maestro  Picco costruisce la sua musica, tutta completamente improvvisata quasi leggendo nelle emozioni che annegano nella penombra prima e nel buio completo poi, per circa un’ora. La musica del pianoforte suonato con straordinaria passione sfoggia una scintilla d’amore tra le mani del maestro e la tastiera lucida dello strumento che  diffonde un calore strano,avvolgente eppure così delicato e quasi ipnotico. Le luci gradualmente si attenuano fino a  spegnersi totalmente ed è questo il momento  in cui si intraprende un viaggio nei propri ricordi, nelle immagini che in un montaggio pazzo prendono a pugni la memoria.  Al buio si è se stessi, al buio non importa chi si ha di fianco , chi è sul palco, non importa perfino stare seduti sotto il prepotente  loggione dello “Stabile”, come se lo spirito abbandonasse il corpo per viaggiare in ciò che non è o in ciò che non è più.  Si arriva così ad un certo punto dello straordinario concerto a cercare una prova dell’esistenza del proprio corpo: si stringe quello che si può con forza, magari la sedia dove si è seduti, il proprio cappotto o  la locandina che si  arriccia violentemente tra le mani. Si cerca il rassicurante contatto con la carnalità, si scopre il dolore fisico come legame saggio  per non lasciarsi totalmente alla corrente impetuosa della musica, ci si sente come fa una foglia staccata dall’albero e spinta dal vento verso mete ignote. “ Blind Date” diventa quindi un’esperienza  sofferta, paurosa ma bella come non mai. La vista diventa un ostacolo superato dagli altri sensi che si sublimano nel delizioso sapore di libertà.  Cesare Picco mostra al pubblico di Potenza  grazie alla sua musica e a alla  sua passionalità fuori dal comune, un qualcosa di  bellissimo che si materializza luminoso nella parte buia di ognuno, nel buio del teatro,buio nel buio, pezzo per pezzo l’immagine di una bellezza quasi nazarena e divina squarcia lo spazio come se quell’essere che si ha davanti non appartenesse a questo mondo, proprio come la libertà. Cesare Picco alla fine  riporta tutti a casa, il teatro torna piano alla penombra. Il pubblico però   pur  ritrovando alla luce le sue  condizioni normali, porta su di sé la polvere di questo viaggio, segni e solchi  sulla pelle che come cicatrici coveranno indelebili al proprio interno un odore innamorato, il profumo  della libertà. 

Con Chiara Baffi c'è il sole anche quando "Chiove"

da "il quotidiano della Basilicata"


Con Chiara c'è il sole anche quando " Chiove"




di Francesco Altavista


Matera – «Il teatro per me è fondamentale, è un posto in cui io sto a mio agio, mi dà la sensazione che tutto può accadere e nel migliore dei modi, mi sento  protetta dal palcoscenico. Mi piace condividere tutto ciò con il pubblico.» Sentire queste parole dalla profonda e splendida voce, ornata  da sospiri e toni involontari da femme fatale, della bellissima  Chiara Baffi farebbe tremare di emozione chiunque. E’ un’attrice giovane ma pluripremiata e  sarà a Matera in scena il prossimo nove dicembre al Duni ( 17 e 30) con la  pièce “ Chiove” nella parte di Lali, unica donna sul palco insieme a Enrico Ianniello e Carmine Paternoster. Con “ Teatri Uniti” che produce anche questo spettacolo, Chiara gira il mondo, molte volte insieme al suo grande maestro Toni Servillo con il quale continua a collaborare dopo il grandissimo successo de “ La trilogia della villeggiatura” di Carlo Goldoni: tour internazionale di 4 anni con quasi 400 repliche. E’ un’attrice straordinaria oltre che spaventosamente bella, nonostante le prove in teatro e un guasto a casa , ci confessa, al tetto gocciolante di pioggia, si concede per un’intervista esclusiva per “ Il quotidiano della Basilicata”.
Chiara, lei più volte ha dichiarato di dovere molto allo spettacolo “ Chiove”. Perché è così importante per lei?
« E’ nato  un incontro magico tra noi attori in questa pièce. Appena abbiamo iniziato a lavorarci, durante le prove,partendo dallo  studio sul testo, si è creata questa incantevole alchimia. E’ stata così forte che non abbiamo potuto fare altro che  prendere in mano la situazione ed accorgerci di avere una pietra preziosa tra le mani. Il testo poi ha la fortuna di essere scritto in modo incantevole. Lali è  un personaggio che ho amato tantissimo fin dalla prima lettura. Mi ha conquistata completamente, io ho avuto solo il grande piacere e la responsabilità di prendermene cura.  La luce di Lali  mi ha subito entusiasmato e guidata ad affrontare un personaggio certo complicato, una prostituta; io non l’ avevo mai interpretata, mai un personaggio con questa popolarità moderna. Mi ha guidato anche  la scrittura viva e carnale di Mirò, a cui sono immensamente grata.»



 Quando è stato importante per una giovane attrice come lei entrare nella grande realtà di “ Teatri uniti” di Napoli?
«E’ stato fondamentale. Prima di tutto perché era il mio più grande desiderio ed è stato esaudito. Per me è stato molto importante perché mi ha permesso di lavorare con Toni Servillo che è una persona che stimo enormemente: un attore straordinario ed un regista meraviglioso. Vivere con lui  “ La trilogia della villeggiatura” è stata un’esperienza unica che mi ha insegnato moltissimo. Con Toni Servillo non avevo il ruolo da protagonista come in “ Chiove”  ma riuscivo tutti i giorni, grazie alla sua grandezza, a vivere questo rapporto con il personaggio, a nutrirlo, a divertimi  e scoprire sempre nuove cose ad ogni replica.»
Lei è una figlia d’arte,suo padre Giulio Baffi è un famoso critico teatrale ed ha diretto addirittura il  “San Ferdinando”. Quanto è stata colpita dallo stereotipo della “bella attrice raccomandata”?
 «Non mi ha dato molto fastidio, nel senso che  non ho dovuto farci i conti poi troppo. Fortunatamente ho costruito la mia carriera pian piano, partendo da piccolissime  parti e partecipazioni a spettacoli; ho studiato il più possibile nei modi che ritenevo opportuni, sono entrata in questo mondo  in punta di piedi. Poi pian piano ho preso sempre più spazio lì dove potevo, dove mi è sembrato giusto farlo e mi è stata data opportunità di farlo. Ogni tanto vengono fuori queste voci  fastidiose, ma cerco di combatterle con i fatti  con il mio lavoro, la mia dedizione, la mia professionalità, con la mia attenzione e cuore che metto in questo lavoro. L’essere sua figlia mi ha agevolato nel senso che il teatro nella mia famiglia era pane quotidiano:  andavo tutti i giorni in teatro ed ad un certo punto non ho potuto fare a meno di desiderarlo e nel momento in cui  ho messo piede sul palcoscenico, ho capito che non avrei potuto più farne a meno.»



Lei è cresciuta respirando l’aria del teatro di Eduardo il “ San Ferdinando”. Cosa ha significato questo quando ha dovuto recitare  nella versione di “Napoli Milionaria” con Luca Defilippo per la regia di Rosi?      
  «Al “San Ferdinando” mi sento a casa ed amo Eduardo particolarmente. In “ Napoli Milionaria “ ho interpretato Maria Rosaria ed è stato bello anche  perché avevo un regista straordinario come Francesco Rosi che l’ha inventata insieme a me. Ricordo molto bene come Rosi mi ha guidato alla conoscenza del personaggio e di quel mondo. Ho avuto la possibilità di vedere la mia amata Napoli in un’altra epoca e l’ho scoperta insieme a Rosi. Quest’ultimo  un uomo generoso, coltissimo, a cui piace molto raccontare e donare i sui ricordi, la sua storia  e i suoi  aneddoti. Ogni momento in quelle  prove è stato veramente importante.»
Oltre a “ Chiove” con quale opera la vedremo prossimamente sui palcoscenici?
«Io continuerò a fare “ Chiove” per un paio di mesi. Successivamente a fine gennaio inizio le prove con Toni Servillo con “ Le voci di dentro”, in cui lui è regista e protagonista.  Non vedo l’ora. Ho già l’acquolina in bocca. Aspetto questo  nuovo incontro con Servillo e contemporaneamente con Defilippo, davvero sento già  il profumino.»
Cosa è la Bellezza?
 «La Bellezza è un qualcosa da cercare, scoprire, onorare e prendersi cura, da non dimenticare e di cui nutrirsi.»

Teatri Uniti, intervista Andrea Renzi

da "Il quotidiano della Basilicata"

Magic People show con Andrea Renzi



di Francesco Altavista


Matera – « Leo de Berardinis, una volta mi disse:  ricordati che le vie del teatro sono infinite. Non ho mai dimenticato questa massima. Un misto di ironia e saggezza. In teatro mai precludersi delle possibilità e mai tracciare  confini troppo rigidi.” E’ un ricordo  che  il  grande attore Andrea Renzi colonna portante  del famoso  gruppo teatrale napoletano “ Teatri Uniti”, regala a “ Il quotidiano della Basilicata” insieme ad un’intervista. Quest’ultima concessa in anteprima rispetto  all’incontro di sabato mattina con Angelo Curti presidente  di “ Teatri Uniti” alle  ore 12 presso la “Boutique” di Anna Tota ( in questa occasione saranno presentati la trilogia di “Teatri Uniti”  e il progetto “Retrovisioni Teatrali”)  e ai due spettacoli della sezione “ Napoli a Matera” della “rassegna teatrale 2012-2013”  entrambi realizzati e prodotti da  “ Teatri Uniti” ,  in scena al teatro “Duni” : “ Magic People Show”,  l’8 dicembre alle 21  pièce che  vedrà Renzi  nel cast degli attori e “ Chiove “ il 9 dicembre alle 17:30. 
Maestro, “Magic People Show” è il primo spettacolo di una trilogia messa in scena proprio per festeggiare  i 25 anni di “ Teatri Uniti”. Come nacque questo spettacolo ?
« Nacque dall’incontro felice con lo scrittore Giuseppe Montesano. Abbiamo verificato in una lettura pubblica del suo libro come questo condominio napoletano, raccontato nell’opera, fosse costruito soprattutto sulle voci:  non ci sono nel testo letterario descrizioni degli ambienti e dei personaggi, tutto prende vita da dialoghi e quindi il testo aveva un  grande senso teatrale. Abbiamo avuto poi  accesso a tutti i materiali editi e inediti di  questo lavoro e da questo  è partita la parte di cui indegnamente ci siamo presi la responsabilità, cioè la messa in scena teatrale.»
In questa pièce si parla dell’involgarimento della società a favore del  consumo. Non è imputabile solo alla  Televisione ma comunque questo mezzo è una cattiva maestra come diceva Popper . A questo proposito perché un attore del suo livello, un attore di teatro si è sporcato di televisione?
«Diciamo che per me è stata un’esperienza che fino ad un certo punto del mio percorso non ho voluto fare. Quando però  mi sono sentito sicuro fino in fondo dei miei mezzi e con una storia sufficientemente forte alle spalle  per poter affrontare anche un genere popolare come la televisione,  mi ci sono misurato. E’ stata un’esperienza lavorativa molto divertente che mi ha arricchito moltissimo;  intanto perché  mi ha fatto incontrare con un tipo di spettatore che ahimè, non frequenta i teatri e questo è stato un incontro proficuo. Un misurarmi che  mi ha anche aiutato a scendere un po’ dal piedistallo della cultura. In passato avevo peccato un po’ di superbia;  nel mio percorso un pizzico di snobismo c’era e invece non esiste motivo per precludersi l’incontro con un prodotto più popolare. Tanto più che io credo siano universi paralleli. Le  cose più  interessanti sono quelle che riescono ad abbattere gli steccati. “Distretto di Polizia “ è un prodotto televisivo che ha avuto tra i suoi sostenitori  anche Moretti ed  Eco, è riuscito quindi  ad abbattere degli steccati. Non bisogna vergognarsi mai di lavorare, il lavoro ha una sua dimensione materiale ed artigianale. Io sono convinto che il mio sia un lavoro più che d’artista, da artigiano.»
Torniamo al teatro. Lei ha lavorato con tutti i registi fondatori di “ Teatri Uniti”, come si può sintetizzare il senso e la missione di questo gruppo?
«Festeggiamo il 25esimo anno e quindi siamo pieni di orgoglio e soddisfazione, ma sappiamo anche riconoscere delle fasi molto diverse del nostro lavoro. Credo che il nostro nome resti legato alla fase della fondazione:  è stato un momento in cui abbiamo proposto, partendo dalla concretezza del lavoro nella nostra città Napoli, una casa in cui si potevano incontrare registi , attori, musicisti provenienti da percorsi diversi. Questo resta secondo me tutt'oggi il paradigma più significativo del lavoro di “ Teatri Uniti”.»


Un incontro, grazie agli organizzatori della rassegna c’è anche tra Napoli e Matera. La Città dei Sassi cosa può imparare idealmente, nell’ottica di capitale europea della cultura da Napoli?
«A Matera sono stato diverse volte e sono contento di ritornarci con “ Magic People” e con “ Teatri Uniti “. So di questa candidatura e sarebbe secondo me interessante che intorno a Matera si raccogliessero le forze migliori di tutto il sud dell’ Italia. Sarebbe un segnale potente  per il nostro “Mezzogiorno”. Purtroppo il nostro Paese ancora non ha messo a fuoco quali possibilità e prospettive si aprono nel momento in cui si dovesse riuscire a rilanciare con forza quella che è da sempre la caratteristica dell’Italia: essere il paese della bellezza. Io credo che non è un caso che “ Teatri Uniti” sia nato a Napoli, è una città d’incontro, di porto, attraversata da dominazioni geograficamente lontane tra di loro, è una città di contaminazioni. Matera che è proprio geograficamente così diversa, città dell’entroterra con una cultura misteriosa che ha affascinato perfino chi  ha letto i nostri anni come Pasolini, potrebbe prendere da Napoli questo senso dell’apertura e della contaminazione, quella propria di una città martoriata ma pur sempre una grande  capitale del mediterraneo.»
Lei ha recitato registi, promesse del cinema italiano.  Si può pensare che come ha fatto Martone,  un giorno lei lasci il teatro e “ Teatri Uniti”  per il cinema?
«Mi è capitato di rimanere lontano dal palcoscenico per quasi due anni, spero non mi ricapiti più. Non riesco a farne a meno. Mi piace dedicarmi al teatro anche in regia quindi non solo recitando. Sono un artigiano teatrale e  nessun artigiano lascia la sua disciplina per troppo tempo. Io delle volte penso ad un attore supremo come Marcello Mastroianni,  si è formato nel teatro ed ha voluto prima di lasciarci, tornare al palcoscenico teatrale. Noi abbiamo la  straordinaria possibilità di vivere le emozioni del nostro campo, cioè il palcoscenico e quando si provano, rinunciarvi è difficile.»
Cosa è la Bellezza?
«La Bellezza è la vita. Spero di essermela cavata.»

Nannipieri nella città dei senza nome

da "Il quotidiano della Basilicata"

Nannipieri nella città dei senza nome

di Francesco Altavista 



Potenza –  Luca Nannipieri è un uomo di cultura, un opinionista, saggista, scrittore e critico d’arte  di fama nazionale che non ha certo paura di dire quello che pensa. Interessanti sono le sue intuizioni su come interpretare la cultura e la sua crisi e su come parlare di arte in una visione inedita e meno d’èlite. Oggi alle 19 e 30 parte il suo tour di presentazione della sua ultima fatica “ La cattedrale d’Europa” e parte proprio da Matera dalla “ Parrocchia Santa Famiglia”. Domani alle 18 e 30 al Palazzo dell’Annunziata presenterà il libro in un incontro dal titolo “ Beni culturali e futuro del paese con  :  Don David Mannarella (delegato per i beni culturali ecclesiastici della Diocesi di Matera),  Paolo Tritto (redattore del periodico diocesano LOGOS), Nunzio  Lionetti (curatore dell'iniziativa e presidente dell'ass. "Umana  Dimora Basilicata") e Marco Pelosi (responsabile Cooperativa "Oltre l'Arte"). Concluderà il suo breve tour materano sabato 15 per le scuole al teatro “ Duni” : dalle 9 e 30 per il Liceo Classico e dalle 11 per L’istituto tecnico industriale “Pentasuglia”. In anteprima Luca Nannipieri si concede ad un’intervista sul suo lavoro e su Matera  per “ Il quotidiano della Basilicata”.       
Nel suo libro “ La cattedrale d’Europa”,  la riflessione parte dalla  “ Sagrada Famìlia” di Barcellona. In che modo  questa cattedrale diventa il principio della sua intuizione?
«La “Sagrada Famìlia” è l’esempio massimo di quanto possono fare le comunità, le associazioni  e le libere aggregazioni di persone intorno ad un territorio. C’è una grandissima chiesa, costruita non perché un pontefice, un imperatore, un potente , un faraone l’ha voluta. All’inizio era una piccola associazione di devoti di San Giuseppe. Dopo un primo architetto che fece un disegno che non piacque, arrivò Gaudì. Da allora si innescò una spirale di condivisione, di partecipazione, di emozione collettiva che faceva sì che la “Sagrada Famìlia “ proseguisse  grazie alle  libere donazioni delle persone. Non stiamo parlando di principi o di re ma di persone comuni che misero insieme le proprie forze e con il genio di Gaudì innalzarono una delle più grandi cattedrali d’Europa, tutt’ora in costruzione ma il cui disegno originale è un qualcosa che non ha paragoni.»
La condivisione, la partecipazione e l’arte che viene dal popolo  sono temi di tanti sui articoli e libri. A che punto della sua personale battaglia  arriva “ La cattedrale d’Europa“?
«Arriva ad in un  momento critico. Io giro tutt’Italia per dibattiti e conferenze, vedo tutte queste comunità e associazioni che lavorano attorno al patrimonio storico artistico, a cui ho dedicato il libro precedente “ La Bellezza inutile”. Vedo che sono tutte comunità ed associazioni chiuse in sé stesse, tutte forse incapaci di fare forza aggregandosi tra di loro. Allora ho voluto, di fronte ad uno scenario così difficile, dare un esempio massimo e  inaudito:  come in un altro periodo della storia si è costruita una grandissima cattedrale nonostante ci fosse la guerra e  una dittatura, cioè   momenti drammatici difficilissimi. Vorrei che questo  fosse da sprono per tutte queste comunità e comitati volontari che incontro.»
Ha voluto partire da Matera per il suo tour di presentazione. Questa città come si colloca nel suo ragionamento sull’arte ?
«Matera è la città per eccellenza che rappresenta la mia situazione. Un luogo non costruito da un grandissimo artista, ma realizzato in generazioni di persone che hanno modellato il loro essere cittadini erigendo quell’esempio di bellezza urbana che tutti ammirano nel mondo.Questa città poi ha una densità di patrimonio artistico che è impareggiabile, fin ora ahimè poco valorizzato, se si pensa all’annosa questione del Duomo di Matera chiuso. Quello è un mio motivo di rimpianto.»



A proposito di rimpianti e di valorizzazioni mancate. Cosa manca a  Matera per diventare una città della cultura?
«Innanzitutto la mentalità chiarissima che un Duomo non può restare chiuso. La cattedrale di una città non può essere chiusa. Se i ragazzi crescendo considerano il maggior punto focale di una città chiuso, a quei ragazzi manca qualcosa. E’ chiaro che per essere capitale del cultura e non solo del patrimonio storico- artistico occorre diventare una fucina di produzione culturale  moderna. Questo significa essere capitale della cultura, altrimenti sei capitale del patrimonio artistico. Per esempio  Pompei è capitale del patrimonio archeologico ma non può certo  diventare capitale della cultura.» 
Tra i punti a favore però Matera ha certamente quella che lei definisce arte collettiva – aggiungo- degli sconfitti. Potrebbe essere un fascino unico da cui partire per credere  in questa candidatura?
 «La Bellezza collettiva è pur sempre la bellezza di chi non ha nome, di chi non ha avuto peso  nel corso dei secoli. Di chi alla regie non ha potuto contrapporre una bellezza altrettanto fulgida ma appunto si è dovuto ritrarre in costruzioni più dimesse, più espugnabili. Matera è sicuramente la città per eccellenza dei senza nome. Matera non si lega ad un nome fortissimo della cultura, ma come città dei senza nome è  regina assoluta. Matera è già capitale del patrimonio storico- artistico può diventare capitale della cultura,  per adesso però  mi rimane difficile pensarlo. Quante persone dalla Toscana, dal Lazio, dalla Lombardia vengono a lavorare a Matera, ci sono quelle ossigenazioni che fanno sì che una persona da fuori venga a lavorare  nella città dei Sassi?»
In un suo interessantissimo  articolo lei spiega che riavviare la cultura non è una questione di fondi, anzi nella sua provocazione lei chiede di togliere i fondi parlando del procurare un infarto alla cultura. Perché una idea così forte per riavviare il mondo dell’arte e della cultura?
«Le politiche culturali oggi in Italia si indirizzano soltanto ad uno strettissimo target di persone. Bisogna creare un infarto alla cultura perché non respira, perché questa cultura qui butta fuori i giovani.. Tanti soldi ai teatri per vedere i cartelloni che sono uguali in tutta l’Italia, con i soliti nomi noti come:  Proietti, Albertazzi. Mostri sacri certo,  ma poi uno che ha trent'anni dove li trova i soldi per sperimentare e per costruire. Nelle primarie del PD sia Bersani che Renzi non hanno detto parola  sulla cultura e non parlo si Berlusconi. Solo Vendola  ma poi è stato scartato. Credo che la Puglia sia diventata un grande laboratorio  dopo la sua presidenza, però non è stato accettato. La cultura ha bisogno di una scossa. Non c’è sperimentazione, non c’è l’avanguardia, non c’è rabbia né grinta.»
Come continuerà la sua battaglia verso un’arte di popolo che possa salvaguardare la ricerca e la sperimentazione?
«Sia in scrittura che in azione. Nell'azione vorrei federare tutte queste associazioni e comitati che incontro in giro per l’Italia, chiuse in sé stesse per unirle affinché la loro voce sia più forte. Continuerò a scrivere libri per questa battaglia:  l’Italia da salvare che non è quella dei monumenti ma delle persone che danno vita a questi monumenti. Continuerò a  dare spazio a chi non ha un nome  famoso, a quelle persone non titolate che fanno cultura come per esempio maestre di piccole comunità.»
Cosa è la Bellezza?
 «La Bellezza è uno dei più grandi  misteri che si annidino negli occhi e davanti agli occhi degli uomini. La Bellezza mostra all’uomo, essere finito, il fatto di essere “quasi nulla” come diceva Leopardi. La Bellezza consegna la  consapevolezza  del  “ quasi nulla”. Credo sia  un’ottima riflessione sulla bellezza:  La bellezza salva l’uomo  dalla finitezza  con quel “ quasi”.»

lunedì 26 novembre 2012

La mafia come metodo: Intervista Prof Tranfaglia

da " Il quotidiano della Basilicata"

Tranfaglia analizza la mafia come metodo



di Francesco Altavista 






Torino –  Le organizzazioni mafiose occupano un posto importante nella storia italiana , hanno un ruolo centrale  nell’Italia post –unitaria , ma le origini arrivano da prima, alla fine delle grandi rivoluzioni del settecento.  Radici così forti e cambiamenti così radicali nel tempo che hanno consentito alla mafia di  condizionare le scelte dello Stato, ne ha impregnato alcuni meccanismi e deve   quindi occupare uno spazio rilevante  nella discussione storica e politica della democrazia italiana. Chiunque voglia fare su  questo tema di  coabitazione tra mafia e Stato, una discussione sensata fuori da qualsivoglia banalità e populismo spicciolo, deve per forza confrontarsi con gli scritti del professor Tranfaglia, un vero esperto, un lucido osservatore  e scrupoloso ricercatore storico della mafia. Da questo mese  è in libreria  proprio un suo saggio per “ Mondadori Scuola” una riedizione de “ La mafia come metodo” pubblicato la prima volta nel 1991 per “ Laterza”  ed oggi completamente rivisto ed aggiornato. E’ un lavoro davvero interessante che va ad analizzare  la storia delle organizzazioni  mafiose,evidenziandone  gli sviluppi e la dinamicità rispetto al cambiare dei punti di riferimento sociali, politici  ed economici. Un lavoro multidisciplinare che guarda  anche alla  storia del sud  in un analisi anche antropologica e politica in senso lato, si parla di “ questione meridionale”  e si guarda ai profili di personaggi da sempre controversi  come Sindona e Andreotti, il tutto  trattato con elegante distacco emotivo, senza romanticismi romanzati  e con lucida analisi volta alla ricerca di una verità storica. E’ un testo fondamentale per chi vuole capire il fenomeno mafioso ma anche per farsi possessore di elementi necessari per leggere la realtà, perché questo lavoro è anche un esempio di come certi fenomeni dalla doppia faccia vanno trattati per non cadere nell’involgarimento.  Il professore di origini lucane Nicola  Tranfaglia,  preside della facoltà di “ Lettere e filosofia “ di Torino, docente di storia contemporanea, editorialista per importanti quotidiani  e con alle spalle una intensa attività storica, scientifica e politica (  stato deputato per più legislature) oltre che  condirettore della rivista "Studi Storici" e membro del comitato  scientifico della “Fondazione Nazionale Antonio Gramsci”, si concede per ad un’intervista  per “ Il quotidiano della Basilicata”. 


Professore,alla luce delle scoperte di infiltrazioni  nella giunta della Regione Lombardia, cosa nel fenomeno mafioso  è cambiato in questi anni ?
«Quello che io le posso dire che a mio avviso il fenomeno più importante che è avvenuto negli ultimi decenni è in qualche modo il trasferimento, il passaggio dei metodi mafiosi dai clan alla società italiana. Dalle commissioni parlamentari d’inchiesta sulla mafia che sono state create nella nostra repubblica solo a partire  dal 1963, ed abbiamo avuto relazioni importanti solo in quella del democristiano Cattanei  nel 1972, si comprende che  queste società mafiose  sono riuscite a poco a poco a trasferire i loro metodi alla società italiana stessa, a non dividere più in modo netto la legalità dall’illegalità. In questo paese oggi  la cosa più difficile è affermare la legalità. C’è la necessità di considerare la mafia come un fenomeno centrale e  non collaterale.»
Nel suo saggio “ La mafia come metodo” parlando dell’operato del fascismo e di Cesare Mori il  prefetto  di Ferro,  lei ha  ravvisato delle criticità, la repressione anche violenta  non basta anzi addirittura in qualche modo consente alla mafia di “conservarsi”. Come si deve combattere la mafia?
«Io sono convinto che combattere la mafia si può fare soltanto nella misura in cui si riesce ad accompagnare alla necessaria repressione della polizia e della magistratura, un’educazione civile delle nuove generazioni perché soltanto se alle nuove generazioni si fa in modo di dare gli strumenti di obbedienza alla costituzione e alla legge possiamo essere più tranquilli su quello che sarà l’avvenire, se invece questo non si ha, diventa molto difficile stroncare un fenomeno così interno e profondo del nostro paese. Solo se si fanno insieme queste cose si riesce: repressione ed educazione civile.  D’altra parte chiunque legga dei libri specializzati su questo fenomeno, sa che non esiste un metodo facile per eliminarla, si tratta di fare un lungo lavoro.»


Secondo lei oggi, esiste la volontà culturale  di combatterla?
«Non la vedo anche perché non abbiamo a livello di stampa, dei  mezzi di comunicazione, un informazione tale che permetta  alla grande   maggioranza dei cittadini di essere informati su questo fenomeno. Soltanto se ci sarà  una informazione adeguata del fenomeno mafioso e io non lo vedo ancora nel nostro paese,sarà possibile un movimento culturale.»
Nella lotta alla mafia, come giudica  le scelte della politica  ?
«Il sistema politico italiano mi sembra abbastanza lontano dalla società italiana. A me è accaduto di recente di leggere il disegno di legge sulla corruzione  e di costatare l’assenza di cose come  il falso in bilancio e di altri aspetti di lotta alla corruzione che sono necessari. Rimaniamo nell’incertezza di dire :  approviamo comunque una legge perché non c’è nessuna legge.  Sarebbe forse meglio cercare di codificare affondo questa norma.»
Professore passiamo alla parte storica. Perchè la mafia nasce dopo le rivoluzioni ?Hanno avuto un ruolo nel  fallimento di queste ultime come quella partenopea del 1799?
«Le grandi rivoluzioni hanno il ruolo nell’Europa del tempo di modificare i rapporti tra le classi, di far nascere un attivismo che prima non c’era stato da parte di una parte della borghesia e di quello  che veniva chiamato il proletariato. Questa modifica del ruolo delle classi è alla base della creazione di nuove società segrete. Certo allora nel 1799 ci fu un grande massacro da parte dei Borboni, gli intellettuali non seguono in maniera precisa quello che dicono le singole forze politiche e quindi sono difficili e scomodi per il potere,  tuttavia non credo che la mafia in questo fallimento  sia intervenuta, dobbiamo dire che in quel periodo le organizzazioni mafiose erano all’inizio , si sono sviluppate nel periodo delle grandi rivoluzioni dell’Unità. Successivamente hanno avuto un ruolo sempre importante  e credo che lo abbiano anche ora.»
A proposito di “ Unità”. In molti dicono che per la conquista del sud la mafia abbia avuto un ruolo importante. E’ dello stesso avviso ?
«Io non credo che abbiano avuto un’importanza decisiva. Credo che le organizzazioni ci fossero e cercassero di portare accanto alle rivolte  i propri interessi. L’Unità non credo sia stata influenzata in maniera decisiva dalla presenza delle associazioni mafiose. Certo quando Garibaldi arrivò tantissimi che pure facevano parte dell’associazioni mafiose lo seguirono ma era il vento del cambiamento, non hanno avuto un ruolo decisivo per quello che posso dire come storico.»
In questo libro lei parla di un rapporto certificato  tra  Sindona ed Andreotti. Tenendo conto di questa vicenda che vede il potere mafioso, quello finanziario e quello politico alleati,quanto secondo lei la mafia  entra in questa crisi finanziaria?
«Il caso di Sindona è il caso di un uomo di finanza che è cresciuto in collaborazione con Cosa Nostra ed ha avuto anche rapporti vicini con il senatore Andreotti, l’avevo già scritto nel 2003  nel libro “ La sentenza Andreotti”. In questo libro ho detto che c’è stata una vicinanza per molto tempo tra Sindona e Andreotti. Questo è l’elemento che storicamente possiamo valutare. D’altra parte Andreotti è stato ritenuto colpevole fino al 1980, copre tutta la sua amicizia con Sindona, io non credo che dopo non ci sia stato nessun rapporto ma mi rifaccio ai documenti ed effettivamente la sentenza riconosce questa vicinanza. La mafia è presente in ogni parte della società, è presente anche nelle società finanziarie. Esistono però poche indagini recenti sulla presenza delle mafie in queste società, perché sono molto difficili da fare eppure possiamo dire che sicuramente ci sono delle presenze mafiose. Basta pensare  alla speculazione che è uno degli aspetti di cui  la mafia si serve per ottenere lucro in modo parassitario  sulla produzione reale. E’ molto facile che ci sia questa presenza e tuttavia non esistono indagini storiche serie a parte il caso Sindona di cui appunto c’è un alta bibliografia,sulle  successive vicende finanziarie non ci sono libri recenti che abbiano perseguito la stessa indagine»
Lei fa una puntuale analisi anche in questo libro sulle vicende del senatore Andreotti. Come si può spiegare ad un profano perché un personaggio del genere è senatore a vita?
«Andreotti è stato nominato senatore a vita da Francesco Cossiga altro personaggio piuttosto controverso su cui esiste un buon libro dal mio amico Nando Dalla Chiesa figlio del generale. In cui si vede come Cossiga abbai avuto dei rapporti con servizi segreti non italiani. Da questo punto di vista c’è un filo che mostra questo tipo di legami che hanno caratterizzato sempre la storia italiana  specie repubblicana ma non solo quella.»        
In questo  saggio lei mostra come le organizzazioni mafiose si leghino al modello economico e viceversa. Esiste un  legame tra mafia e sviluppo del capitalismo ?
«E’ difficile dire questo, il capitalismo è il fenomeno economico che ha vinto a livello mondiale, dopo la caduta del comunismo. Se  vediamo anche il fenomeno cinese, uno dei paesi più forti, ci accorgiamo di avere  un capitalismo curioso, iconografia del comunismo ma che non ha nulla a che fare con il comunismo. Ci sono vari tipi di capitalismo: il capitalismo che favorisce di più la mafia è il capitalismo che non ha regole, capitalismo che serve lo stato moderno. In Italia abbiamo un capitalismo egemone nel paese, anche perché abbiamo un’informazione che come è noto fa riferimento alle grandi imprese capitaliste. Queste ultime  usano in qualche modo le associazioni mafiose e metodo mafioso per affermare l’egemonia di gruppi vincenti rispetto a quelli perdenti In questo senso c’è una rivincita della mafia sul capitalismo. Si tratta di un capitalismo non paragonabile a quelli del nord Europa. Certo oggi le associazioni mafiose ci sono in tutti i paesi europei, la mafia ha una capacità di penetrazione maggiore di quella dell’800 e primo 900, la capacità è molto forte e pericolosa.»
Lei ne parla in questo saggio , perché la “ Questione Meridionale” è ancora irrisolta?
«Io sono convinto che la “Questione Meridionale” non sia stata affrontata come divario tra nord e sud, non è stata mai risolta da nessun governo in tutta la nostra storia, né il governo tecnico ha messo in campo azioni adeguate questo problema. Per ora non abbiamo nessuna sicurezza che il fenomeno sia affrontato, per chi come me , vive al nord e si sente  sempre meridionale è una questione di angoscia molto forte.»
 In conclusione. La mafia ha interpretato i tempi meglio della politica? E’ finito secondo lei il tempo delle stragi?
«Secondo me non l’ha interpretata meglio ma si muove con una velocità che il nostro Stato non ha. L’elemento a vantaggio della mafia, possiamo dire, è il fatto che  ha cercato di creare un mondo che sarebbe ancora peggiore di quello in cui viviamo. Si è mossa in maniera rapita ed efficace per affermare il dominio, ed è una gravissima ingiustizia sociale ed economica nei confronti degli italiani. La mafia è riuscita meglio dello stato nel suo sviluppo, nella sua crescita. Noi non possiamo mai dire che le stragi sono finite. Quando ci furono c’era una difficoltà delle associazioni mafiose e la presenza di magistrati che in parte ci sono ancora in alcuni tribunali molto decisi a lottare. Questo fenomeno delle stragi è tipico delle crisi politiche e morali e quello che poso dire è che ora siamo in un periodo di grave crisi morale e politica del paese. Su questo mi pare che non ci siano dubbi.»
Il suo prossimo libro?
«Il mio prossimo libro è un progetto che ho già cominciato a scrivere. Una breve storia dell’Italia unita dal 1861 ad oggi. E’ un’impresa difficile che mi appassiona molto. Dal 1848 fino ad oggi, uscirà nel maggio 2013, all’indomani delle prossime elezioni politiche.»
Cosa è la Bellezza?
« La Bellezza è la capacità di realizzare la partecipazione di tutti al bene comune. Partecipare di vita alla vita di tutti.»      
       

martedì 23 ottobre 2012

Una Sinfonia unisce Matera e Gerusalemme: Intervista a Saverio Vizziello

da " Il quotidiano della Basilicata"

Matera, terra di pace e di musica 



di Francesco Altavista 




Una sinfonia che unisce tutte le chiese cristiane del mondo,questo un progetto storico, un evento straordinario che ha portato il nome di Matera in giro per il mondo. La città dei Sassi  arriva grazie all’orchestra e il coro del conservatorio “ Duni “diretta dal maestro Carmine Antonio Catenazzo con la “Sinfonia Eucaristica”  composta da Armando Pierucci, ad  affascinare la città più importante del mondo, Gerusalemme lo scorso 22 settembre, ma anche le mille e cinquecento persone di Ginevra nella sala delle Nazioni Unite il 25, poi Milano al Duomo il 26 , per poi concludere, solo  per ora, la minitournèe nella propria città, il 29. Un evento mai realizzato  nella storia mondiale, un luce che irradia il mondo ed unisce popoli e culture, una grandezza nemmeno immaginabile, ma è meraviglioso che nasca da una città che fino a pochi anni fa era sconosciuta al mondo. Se non è più così è merito anche del conservatorio “ Duni” e del suo direttore il maestro  Saverio Vizziello, ideatore anche delle manifestazioni  “ Festival Duni” e di “ Matera in musica”. Il maestro materano è  un cavaliere senza spada e scudo che difende   la sua amata Matera e i suoi allievi  con tutto se stesso, con la propria vita, con la propria arte e capacità. Un eroe moderno, un materano verace ed orgoglioso di esserlo.  In un’intervista  per “ Il quotidiano della Basilicata”, il maestro Saverio Vizziello  ci dedica alcune sue riflessioni sul progetto in terra Santa e naturalmente sulla sua amata Matera. 
Maestro, da dove nasce l’idea di unire in musica tutte le chiese cristiane del mondo?
«Questo è un progetto è partito da Matera. Un anno fa mi incontrai con Arnoldo Mosca Mondadori che era a Matera, mi volle conoscere  voleva da me un’idea sulla musica sacra. E’ una persona molto credente. Gli proposi di comporre una sinfonia che mettesse  insieme tutte le chiese cristiane del mondo. Lui immediatamente si è messo all’opera, ha contattato questo compositore Padre Armando Pierucci che è l’organista del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Quest’ultimo ha chiamato tutti i padri delle chiede cristiane a Gerusalemme, ha ascoltato i loro canti originali ed ha sviluppato questa sinfonia per Baritono solista, coro a quattro voci ed orchestra che è stata affidata al conservatorio di Matera. »



Lei ha anche fatto parte del coro, quindi è stato con i suoi ragazzi e colleghi a Gerusalemme.: Per un musicista come lei e per un allievo del suo conservatorio  cosa significa esibirsi nella terra Santa?
«Io ti parlo da non credente, nel senso che non frequento le chiese. Sono stato a messa al Santo Sepolcro una di quelle mattine e lì c’è  una area particolare. Per me suonare lì è stata una cosa meravigliosa, poi fare musica sacra  nella terra Santa è un’emozione indescrivibile. Da direttore penso che sia il massimo per questi allievi alcuni minorenni, pensa che loro hanno suonato anche alla “Carnegie  Hall di New York “  a Maggio, stanno avendo delle opportunità straordinarie. Il conservatorio di Matera è un’eccellenza l’hanno detto pubblicamente:  il direttore generale del MIUR  davanti al ministro Profumo. Chi studia a Matera è fortunato, esistono delle opportunità che non si hanno in altri posti.»
Cosa ha fatto per far diventare  il conservatorio di Matera un’eccellenza?E’ per questo che dopo aver suonato in giro per il mondo è tornato a Matera?
«Per noi è importante la didattica, ma è diventata importantissimo la produzione sulla didattica. Matera ha più di mille e cento allievi, è un conservatorio molto grande.  Ho formato quattro orchestre:  orchestra sinfonica, orchestra giovanile, una big band e un’orchestra di fiati. Ho cercato con la mia esperienza organizzativa di mettere e   i miei contatti per fare concerti in tutto il mondo con queste orchestre. Io sono nato in questo conservatorio e in questa città. Ho deciso di tornare a Matera per costruire. Ho voglia di creare qualcosa, Matera lo merita.»
Matera ha in qualche modo insegnato qualcosa alla città Santa  Gerusalemme?
«Noi abbiamo fatto degli incontri con degli esponenti importanti della città  di Gerusalemme, sia istituzionali che sacri. Non conoscevano Matera,  abbiamo mostrato loro delle immagini e sono rimasti sconvolti dalla somiglianza delle due città. Matera è davvero la Gerusalemme dell’occidente. C’è una somiglianza incredibile, vedi proprio la murgia materana. Matera ha fatto capire a Gerusalemme che l’occidente non è poi così lontano, che in occidente   ci sono città  identiche.»
E’ proprio in caso di dirlo la musica unisce i popoli…
« E’ l’unico mezzo che ha la capacità di fare questo. A Gerusalemme abbiamo avuto la capacità e la forza di unire le chiese. Noi abbiamo avuto l’opportunità di farlo e di provare sulla nostra pelle che la musica unisce. Per la prima volta c’erano tutti i massimi rappresentati delle chiese, tutte insieme, tutte insieme a cantare. Loro cantavano i loro brani originali e poi noi suonavamo la parte sinfonica dedicata a quella chiesa, non era mai successo nel mondo.»  


La piccola Matera ha conquistato  il mondo, ma la sua  città si rende conto di questa grandezza?
« Noi siamo veramente protagonisti da anni di questa città, ma se ne accorgono in pochi. Ti faccio una battuta:perché probabilmente il direttore del conservatorio essendo materano non è ben visto, se fosse stato torinese o milanese avrebbero avuto più considerazione.  Probabilmente la politica non è colta abbastanza per capire certe cose. Avrei per esempio voluto  le istituzioni con me a Gerusalemme o magari nella sala delle nazioni unite, sarebbe stato bello. Nonostante questo andiamo avanti comunque.»
Una piccola città che guarda il  mondo dall’alto o una città piccola incapace di valutare le sue eccellenze? Quanto è lontana Matera da capitale della cultura europea?
« Bisogna andare avanti farlo per i ragazzi, i nostri allievi devono sempre essere tutelati e devono avere tutte le possibilità per poter aprire le porte del mondo lavorativo. Il nostro dovere di insegnati  lo stiamo facendo ma da materano mi sembra davvero incredibile quello che sta accadendo in questa città. Io penso che chi ha lo scettro in mano deve avere la capacità di valutare  le forze locali, deve caprie cosa c’è sul territorio. Matera ha un’attività culturale importantissima grazie alle tante associazioni , ignorarle è un peccato. Chi più di chi ha amore e passione per questa città può lavorare per lei!»
Il suo modo di amministrare il conservatorio sta facendo scuola. Si può dire che il conservatorio di Matera è anche un esempio nazionale. Ma perché manca un’orchestra regionale in Basilicata?
«Sto ricevendo in questi giorni attestati di stima da tutta Italia. Molti direttori di conservatori si stanno complimentando e prendono come esempio il nostro conservatorio. Tutti hanno capito l’importanza di queste attività. Bisogna porsi il problema di cosa fanno i diplomati di Potenza e Matera. Devono emigrare. Manca la volontà politica, formare un’orchestra regionale significa fornire uno strumento utile per il territorio. Io un mese fa sono stato in Kazakistan ( tra l’altro 18 allievi verranno a studiare a Matera) hanno convocato me per chiedermi consigli su come formare orchestre, li sfruttano il  petrolio per fare questo  e noi abbiamo  la card benzina. Chi non capisce che dalla cultura può rinascere l’economia è un ignorante, l’Italia intera è un giacimento artistico non sfruttato. »
 La minitournèe della “ Sinfonia Eucaristica” per ora si è conclusa a Matera. Ci sono altre date in vista ?
«Il Papa è interessato tantissimo a questa “ Sinfonia Eucaristica”, sicuramente suoneremo per lui. Tutte le chiese del mondo stanno cercando di organizzare nelle loro nazioni  questo concerto. Mosca già ha praticamente aderito.»
Concludiamo. Cosa è la Bellezza?
«La Bellezza è la musica, semplicemente perché non esiste  altro per me.»  


giovedì 18 ottobre 2012

Profumo di cioccolato con Laura Florand

da " Il quotidiano della Basilicata"
Profumo di cioccolato al Women's Fiction Festival 




Matera – Nero e profondo come il peccato, compagno delle lacrime di una sera, passione davanti al camino, invadente sogno  del gusto estremo dell’amore, è il cioccolato.  Laura Florand scrittrice talentuosa dalla percettibilità poetica  che si trasforma in uno splendido romanzo che, è proprio il caso di dirlo, va divorato con avidità, dal titolo “ Ladra di Cioccolato” (edizioni:  Leggereditore), consegna al lettore una  verità: le donne vogliono una cosa sola il cioccolato .E’ un’opera deliziosa, curata nei particolari, nelle chimiche personali di due innamorati, nello scontro tra due vite che danno il via ad un incendio di passione da cui il lettore non può scappare L’opera  è stata presentata ieri al “Shibuya Cofee Music Shop “ di Matera nell’ambito del      “Women’s fiction festival” con la presenza dell’autrice che si concede, grazie all’aiuto della brava, gentile  e professionale  Giulia Fea che ha fatto da interprete,  ad un’intervista esclusiva per “ Il quotidiano della Basilicata”. 
 Signora Florand, prima di iniziare a parlare del suo romanzo,  una curiosità:  Matera non sarà certo la romantica Parigi dove è ambientato il suo romanzo. Ma come le è sembrata ?
Matera è favolosa, ha una bellezza incredibile e unica. Sono rimasta letteralmente affascinata da Matera.
 Passiamo al romanzo. Quando si pensa a simboli di virilità maschile, si pensa a uomini impegnati in lavori duri, al massimo attori, calciatori .Il  suo romanzo ci mostra una inaspettata alternativa , il simbolo della forza maschile, della virilità , è un cioccolatiere. Perchè un’attività quasi poetica diventa così maschile e virile? 
In realtà già nel cioccolato risiede l’essenza della sensualità, la passione  anche il fatto che si possa modellare e dargli una forma è un potere insito del cioccolato. E’ il simbolo del piacere assoluto, il fatto che una persona riesca a controllare questo piacere lo rende ancora più affascinante. Facendo le mie ricerche sui cioccolatai francesi subito sono venuta in contatto con l’immagine di qualcuno di virile. Il mondo della cioccolata è legato comunque tutta una serie di atmosfere che hanno a che fare con l’imposizione della forma, con il fatto di raggiungere la perfezione, un uomo può esserlo , può farlo. L’arroganza poi del personaggio del romanzo,di credersi continuamente il migliore, è una cosa molto virile.




Le donne vogliono solo una cosa, il cioccolato. Questa la frase da cui in effetti parte il romanzo. la protagonista Cade alla fine ammetterà di essere entrata nell’atelier di Sylvain, per lui come uomo,  non per il suo cioccolato o almeno non solo per quello. A questo punto  è proprio vero, le donne vogliono il cioccolato? Se si dovesse scegliere tra le due cose, a cosa  si è disposti a rinunciare ?
Direi che c’è bisogno di entrambi. Credo che se avessimo entrambe le cose, le donne raggiungerebbero davvero la felicità,potremmo  dirci donne complete. E’ troppo difficile decidere a cosa delle due è  possibile rinunciare, non riesco a rispondere, perché poi si dovrebbe rinunciare a qualcosa?
La donna che viene mostrata nel romanzo, è un donna sicura, una donna manager  che rompe un po’ la definizione perbenista  e tipicamente maschile della donna raffinata, “casa e chiesa “  si può dire che lei ci mostra una donna che non ha paura di immaginare un uomo nudo?
Mi piacciono le donne forti che cercano di raggiungere i propri obiettivi, ciò che vogliono. Cade rappresenta come le donne sono tutte. Le donne che conosco hanno carattere, ho voluto descrivere questo nel mio libro. La particolarità è che le donne possono essere forti anche se sono innamorate e allo stesso tempo  anche se sono forti hanno bisogno di essere amate. Certo le donne immaginano gli uomini nudi da sempre, penso proprio di sì. Io credo fosse abbastanza risaputo che lo facciano, probabilmente lo dicono solo nel privato.


La figura maschile  Sylvain  a differenza di Cade viene dai bassifondi, dai quartieri popolari  di Parigi tristemente noti “ La Banlieue”. Per lui è anche una forma di riscatto il successo ottenuto con il cioccolato e conquistare l’amore di una borghese capitalista ? Cosa cerca realmente di insegnare al suo stagista Malik, proveniente dalle sue stesse zone?
In realtà io volevo raccontare due personaggi che venissero da mondi diametralmente opposti. Di solito l’uomo nei libri , è  ricco che compra qualsiasi cosa e la donna è povera  e si fa in un certo senso comprare dal suo uomo. Ho voluto invertire i ruoli. In realtà Sylvain cerca di trasmettere e di passare a qualcun altro gli obiettivi che ha raggiunto, i risultati, in un certo senso vuole che  questo riscatto colpisca anche il suo allievo.
Esiste nel romanzo uno scontro tra il mondo del capitalismo multinazionale e  quello  della piccola bottega artigiana ma non solo anche tra la produzione di massa mediocre nel sapore e quella di qualità.  Addirittura nel suo scrivere anche ironico,  un barbone rifiuta la barretta della multinazionale e pronuncia  l’epiteto “ merde”. Chi vince realmente questa sfida?
Io personalmente ho una preferenza per il piccolo, per la ricerca della qualità, la raffinatezza. Quello che volevo dimostrare è che entrambi i mondi sono da rispettare, entrambi da avere ben chiari in mente. In fondo quello di Cade è un sogno ed è giusto che lei lo persegua ma se avessimo solo questi piccoli cioccolatai la maggior parte delle persone probabilmente non avrebbe cioccolato. Non avrebbe facilità di accesso al cioccolato. Sono due mondi compatibili e necessari.       
Cosa c’è di comune tra l’innamoramento e gustare un cioccolatino? Cosa significa innamorarsi?
  Innamorarsi è come dare quasi un primo morso. Addenti un cioccolatino e ti piace subito ma sai anche l’enorme piacere che verrà dopo quando il cioccolatino si scioglierà in bocca  ed    ti entrerà dentro, a quel punto sarà più  intenso. Poi  l’atto d’amore in sé dei protagonisti  secondo non è altro che un gioco, un desiderio di esplorare ed andare a fondo alle fantasie che entrambi hanno.
“Si può vivere nel mondo pur non possedendolo, puoi vivere nella mia vita anche se non la possiedi”, questa per grandi linee la frase che Sylvain dice a Cade ad un certo punto dell’opera. Ma  l’ amore non è  una corsa al possesso  dell’altro come succede con  un cioccolatino?
Non esiste la necessità del possesso mai, sia per quando riguardi le cose del mondo, sia per le persone.  L’innamoramento si può possedere, si possiede il sentimento e si paga all’altro anch’egli possessore con  la moneta del cuore.   
Il libro si conclude con un epilogo che sembra esser scritto in modo diverso, quasi buonista con baci ed abbracci di tutta la famiglia.  Perché non finire con l’unione della coppia e basta lasciando un po’ di amaro in bocca che non guasta mai?     
Credo che l’epilogo venga dopo che le tensioni si risolvono, c’è un rilassamento delle tensioni e anche nella scrittura questo si sente. E’ l’amore che dura anche quando le tensioni sono superate. Proprio lì arriva il momento più intenso. Cade aveva bisogno della sua famiglia, quindi per rendere questa felicità totale avevo bisogno che si ricongiungesse con la famiglia.
In conclusione . Altri libri in vista?
Ci sarà “Bacio di cioccolato”  il seguito di questo libro. Ci sono altri due della serie del cioccolato che usciranno negli Stati Uniti, tutti e tre il prossimo anno.
Cosa è la Bellezza?
Troppe cose, la terra è Bellezza. San Pietro ieri a Roma era simbolo della Bellezza. Mia figlia è bellezza, il cioccolato è Bellezza. Tante cose sono bellezza.

venerdì 5 ottobre 2012

Daniele Sepe e il suo disco proletario

da " Il quotidiano della Basilicata"


Materadio 2 apre con Sepe 


di Francesco Altavista 



Matera – Torna per il secondo anno consecutivo a Matera la festa di Radio Tre “ Materadio”, per tre giorni dal 21  al 23  settembre. A chiudere la prima giornata di eventi il concertone del maestro Daniele Sepe che porterà nella città dei Sassi, il suo ultimo straordinario lavoro “ Canzoniere Illustrato”.  Se tema di quest’anno è la contaminazione tra culture e tra città,  non  ci poteva essere scelta migliore, il musicista, cantautore e compositore napoletano ha dedicato tutta la sua carriera, ad oggi 23 dischi più varie opere anche teatrali e colonne sonore per il cinema, ad una musica  volgarmente detta “internazionale”, un tornato di sonorità  con venature popolari mediterranee, di world music  e naturalmente di jazz.  Conosciuto come uno dei migliori sassofonisti del mondo, è un contestatore, un comunista della vecchia guardia, uno squisito osservatore del mondo, uno che ha sempre da dire specie con la  sua musica. “ Canzoniere illustrato” è l’ultima fatica in ordine di tempo, un album unito ad un libro di fumetti che riprendono i dodici brani del disco, pezzi che riguardano le tradizioni del mediterraneo e non solo, senza dimenticare il solito omaggio a Raffaele Viviani, autore amatissimo da Daniele  Sepe. Il maestro partenopeo, tra le poche personalità artistiche di livello mondiale che l’Italia e il sud possono offrire, si concede per un’intervista in anteprima per “ Il quotidiano della Basilicata”.         
Maestro, sarà a Matera per la festa di Radio Tre, quasi per obbligo le devo fare questa domanda: Matera può essere capitale della cultura europea ?
Matera la conosco benissimo. Sicuramente può concorrere come capitale della cultura europea e non sono solo i Sassi, Matera è di più. E’ una delle più belle città del sud Italia. Io sponsorizzo Matera per questa carica, sicuramente.
Passiamo al suo ultimo lavoro .Non ci sono solo sapori mediterranei ma c’è anche un po’ di sud America. L’aggettivo “popolare” spesso significa troppe cose, si può dire che lei più che un disco popolare ha fato un disco “proletario”?
Sono pezzi che vengono da una maniera di pensare al lavoro e alla vita  che ha poco a che vedere con quello che vediamo oggi. Oggi il termine “popolare” come hai detto,  è un po’ difficile da capire, molte cose dette popolari  hanno un sapore che è quello della cartolina, la musica tradizionale popolare  è una condizione differente da quella del banchiere, popolare non  è Marchionne per intenderci. La cosa importante è tenere vita la ragione prima dell’interesse della musica tradizionale, dove il mondo viene visto al contrario. In genere  se compriamo un giornale la proprietà è sempre di Berlusconi o di De Benedetti, Caltagirone , il mondo ci viene raccontato con gli occhi di chi ha i miliardi. La musica popolare tradizionale da l’occasione di vedere il mondo da una prospettiva dal basso.



Daniele Sepe c’era prima di Manu Chao.  La lotta all’intolleranza  è un principio che da tempo esiste nel suo modo di fare musica. Dopo tutta questa carriera, i messaggi sono serviti a combattere l’intolleranza?
Se servisse a qualcosa ascoltando ogni giorno “ Imagine” di Lennon il mondo sarebbe migliore. Il problema è che la musica è una cosa assolutamente accessoria. Faccio un esempio: quando l’Italia ha bombardato il Kosovo e la Jugoslavia, c’era Bregovic in tournée nelle città italiane, la gente ballava, si divertiva ma la guerra non è finita, il giorno dopo tutta quella gente dei concerti  non ha manifestato contro la guerra e quei bombardamenti. Io penso che in questo momento il mondo è affamato di fame, più che di cultura si sente bisogno di salario, di lavoro, di prendere quel qualcosa in più per comprare un disco o un libro, andare al cinema.
Come questo disco anche il precedente prende spunto da facebook. Ha un buon legame con la tecnologia. Da comunista, ci vuole dire che non bisogna aver paura della tecnologia?
Penso che semplicemente è come  avere una radio libera, è un contatto con la gente. A volte lo puoi usare bene a volte male, ti tiene in contatto con la gente. Io avevo un blog, oggi facebook magari fra tre anni uscirà altro. E’ una maniera per comunicare. Dobbiamo imparare ad usare quello che viene dalla tecnologia. Bisogna aver paura degli uomini che vendono la tecnologia che deve essere libera e disponibile a tutti. Il braccio armato del capitalismo  non è la tecnologia da sempre è stata la legge, l’esercito, il processo, la polizia, tutti quelli che armati lo sono davvero.
Nel disco precedente ha innescato anche una sorta di polemica a distanza con Saviano suo conterraneo, sull’idea di  camorra. E’ riuscito ad attaccare anche l’intoccabile della sinistra nobile?
Semplicemente vedo in Saviano un personaggio  strumentale  ad una visione della politica  e delle esigenze della  vita contraria alla mia. Io penso che uno va a rubare semplicemente perché non ha la possibilità di vivere in altra maniera. Brecht si chiedeva se era più ignobile rapinare una banca o fondare una banca,  io credo che sia ignobile fondarla. Oggi gli operai si suicidano per la perdita del lavoro, per me sono omicidi identici ad altri che lo fanno ignobilmente per procurarsi dei soldi. Io vedo tanti giornalisti che si interessano ai problemi della mafia, della camorra fanno benissimo ma non c’è nessuno che si infiltra nei consigli di amministrazioni. Non credo ci sia tanta differenza, per esempio, tra la camorra e il consiglio di amministrazione della Fiat.
Maestro lei è venuto a contatto con la camorra?  Si narra che per molti artisti  sia stata fondamentale per far carriera?
Anche sta storia della camorra che si mangia gli artisti, è falso. La camorra fa mangiare  indirettamente gli artisti, cioè scrittori, registi, musicisti, attori napoletani non potrebbero vivere se non parlassero di camorra. E’ un vero elemento di marketing, in realtà dicono un mondo di puttanate su queste storie. Si sposano pure i camorristi che sono quelli che hanno più soldi, uno va a suonare perché pagato. Non capisco perché attaccare un cantante che è andato a cantare ad un matrimonio di un camorrista, allora anche il ristorante, il camorrista si è sposato in chiesa e perché il prete  l’ha sposato. Una volta io dovevo battezzare un bambino e il mio parroco mi ha detto di no perché ero un comunista riconosciuto, lo stesso parroco ha fatto matrimoni e feste per i camorristi a non finire.  Perché a questo punto non si parla anche di questo intrecci? Anche Frank Sinatra si dice fosse finanziato dalla mafia, però “cant  buon  Frank Sinatra“.
Maestro le ha dato problemi questo suo definirsi sempre comunista?
Mi ha dato problemi ma anche un sacco di soddisfazioni. Non è una cosa così difficile fare il comunista. E’ facile quanto fare il cattolico per bene, ho un sacco di amici credenti che aiutano immigrati e persone che hanno bisogno e non lì vedo tristi anche se è un lavoro che non viene riconosciuto. Fino quando ci saranno ingiustizie ci sarà sempre spazio per il comunismo. Io prima di andare al conservatorio già ero comunista.  Diciamo che è stato un vizio di famiglia “ papà era accussì” . Prima comunista e poi musicista. All’epoca mia si iniziava giovani.
Da grande osservatore quale lei è, in conclusione verso quel direzione stiamo andando?
L’anno prossimo ci saranno le elezioni, una bagarre di promesse e tutto il resto che già conosciamo, ci servirà per farci due risate. Non c’è speranza con questi politici, tutti, la speranza c’è  verso la gente che deve cominciare a ribellarsi. Non ho più vent’anni se li avessi , comprerei dieci litri di benzina , scenderei in piazza e brucerei qualcosa, come ho fatto quando  vent’anni li avevo.        
Cosa è la Bellezza?
La Bellezza è la semplicità.