Quando una onlus diventa un guadagno
Viggiano –Non è
una storia inventata ma è uno studio romanzato di una realtà,quella delle
grosse Onlus che si rivolgono a delle imprese per cercare affiliati e fondi. E’ un libro interessante ad opera del giovane lucano Francesco
Petrone; porta un titolo esaustivo e
forte se si guarda all’argomento in sé, “
Quando una onlus diventa un guadagno. Tecniche per
arricchirsi salvando i bambini" . Ma non è tutto, la grande
contraddizione del guadagnare sfruttando
le immagini della povertà è anche il
pretesto per raccontare una società fatta di giovani precari alla ricerca
disperata di un lavoro in un mondo schiavo di un capitalismo selvaggio. Francesco Petrone è nato il 30 ottobre del 1981 a Marsicovetere ma è di
Viggiano, ha avuto modo di confrontandosi con diverse realtà attraverso i
tanti viaggi, ha studiato filosofia a
Napoli e Scienze Politiche a Bruxelles, attualmente sta completando un dottorato
preso l’università di Barcellona. Ha svolto i più svariati lavori :come traduttore ( conosce oltre all’Italiano altre
quattro lingue), interprete, organizzatore di eventi , qualche mese ai Call center e naturalmente in un’impresa
ingaggiata da una grossa Onlus. Questo il periodo,più di un anno, di studio
antropologico e poi di realizzazione del libro, mesi nei quali Francesco prima
di lasciare diventa anche uno dei migliori “ dialogatori” o “venditori di povertà” ( espressione
coniato da lui stesso nell’opera )
d’Italia. Per saperne di più della sua storia personale e del libro
molto apprezzato tanto da farlo partecipare
al programma Rai “ Uno Mattina”, parliamo con Francesco Petrone in
un’intervista per “ Il quotidiano della Basilicata”.
Prima di parlare del
tuo lavoro sulle onlus, una curiosità.
Hai due lauree, un dottorato e parli cinque lingue, cosa ti ha spinto a
studiare così tanto ?
E’ un po’ una passione e poi perché mi sentivo sempre un po’
incompleto a livello di formazione personale. Con una laurea in filosofia la
prospettiva principale è quella
dell’insegnamento e in questa epoca di crisi non è che sia proprio uno sbocco
garantito. Mi piacciono le relazioni internazionali e le scienze politiche, ho approfondito
questi studi a Bruxelles , un aspetto
importante è il fatto che mi piacciono le lingue e quindi ho potuto viaggiare,
studiare e lavorare allo stesso tempo. Questa esperienza all’estero è stata
importate per imparare le lingue. La possibilità di stare a contatto con
diversi ambienti ti consente di capire come funzionano i paesi diversi dal
nostro. Si tratta di esperienza fuori per affrontare in modo più consapevole le
difficoltà della terra propria.
Cominciamo a
raccontare la tua storia. Come un
ragazzo pluri -qualificato si ritrova in
una onlus a lavorare come venditore di povertà?
Dopo aver vissuto
all’estero , nel 2008 ho deciso di tornare in Italia e cercare di ambientarmi
nella mia nazione. Sono arrivato a Roma
ed ho cominciato ad inviare curriculum un po’ ovunque e tra le prime
risposte e proposte ho trovato questo
colloquio perché pensavo che fosse più
attinente ai miei studi. La mia idea era quella di cominciare dal livello più
basso quello del dialogatore e poi di occuparmi anche dei progetti, il settore
delle Onlus mi interessava. Poi in realtà ho scoperto che non ero contrattato direttamente dalla onlus
ma da un’impresa di marketing australiana . Si occupava di marketing face to
face, nelle piazze delle grandi città, cercando sostenitori per i progetti
umanitari. Dopo un po’ mi sono scontrato con una realtà opposta a quello che mi
aspettavo all’inizio, poi da lì è nata anche un po’ una crisi di identità per
quanto riguarda l’attività stessa delle grandi onlus.
Quando è iniziata
questa sorta di crisi di identità?In che
termini hai scoperto il paradosso?
Dopo un po’ già avevo capito come funzionava il tutto. Si
cercava di approfittare più possibile
dell’immagine di chi veramente soffre come i bambini dell’altra parte del mondo
per arricchirsi. Questa impresa è caratterizzata da un sistema piramidale per
cui chi sta alla base ogni volta che trova un nuovo sostenitore fa guadagnare
una percentuale a chi sta su. Il capo che era colui che dirigeva l’ufficio,
prendeva queste percentuali ed arrivava a redditi mensili anche di 30 mila euro al mese. Con il tempo si poteva
far carriera, far aprire altri uffici, arrivare a livelli superiori e
guadagnare anche diversi milioni di euro. Esiste anche una prima contraddizione
perché questa impresa ha sia un settore legato alle onlus ( le più grandi quelle che possono
pagare i servizi)sia uno legato al settore
puramente profit , dedicato alla vendita diciamo classica di beni di consumo. Mi sono trovato in questa
situazione all’inizio non volendo, poi per me è diventato uno studio
antropologico. Non avevo previsto di scrivere un libro ma volevo studiare
questo fenomeno che mi sembrava assurdo, sono rimasto un anno e qualche mese
per capire bene il meccanismo che c’è alla base. Sono rimasto questo periodo un
po’ per questo motivo, un po’perché nonostante le mie qualifiche non riuscivo a
trovare occupazione.
Uno dei punti fondamentali del libro è proprio questo
studio antropologico – sociale anche
sulla condizione giovanile. Che tipo di persone lavorano in questo tipo di
imprese?
Le persone che lavorano all’interno di queste imprese, sono
persone provenienti da diversi ambiti. Ho dedicato un capitolo ad un mio amico
che lavorava come fattorino , poi l’impresa ha chiuso ed è arrivato a lavorare
da noi senza avere più alternative, non lo chiamava nessuno. C’erano altri che
erano laureati con master all’estero, era un ambiente eterogeneo. Il profilo
della persona che viene ricercata in questi ambienti è la persona che non fa
molte domande e va lì per vendere e guadagnare con la prospettiva di fare tanti
soldi, per generare profitti grandi e con il tempo aprire suoi uffici. Non è
una prospettiva realistica perché non tutti ci arrivano. Molti si fermano al
terzo gradino, c’è tutto un percorso, descritto nel libro, per diventare manager, uno su cento riesce a
farlo. Ci sono delle tecniche affilate che bisogna imparare. Si deve essere un
po’ spietati. Il tipo di persona richiesta , riassumendo in contraddizione alla filantropia delle onlus
, è una persona che vuole diventare
ricca a tutti i costi e sarebbe disposta a tutto.
Che riflessione
questo studio ti ha spinto a fare sull’uomo?
La prima critica che mi viene da fare , è al sistema
capitalista che ormai è entrato dappertutto ed ha cambiato le nostre
prospettive e credo che in questo ambiente delle Onlus si sia raggiunto il livello più basso. Qui si
vede proprio come le persone sono disposte a fare di tutto e si dimentica del resto: la solidarietà tra colleghi non è un
fatto naturale, non c’è un affetto
sincero se non una cosa creata dal sistema affinché le persone restino per
aiutare chi sta su. Un’immagine negativa perché se uniamo questo sistema
capitalista, alla precarietà giovanile e alla vendita della povertà ne esce
fuori un essere umano cinico e che non guarda in faccia a nessuno. Forse è
anche un modo per chi non ha avuto tante
possibilità nella vita di cercare un riscatto nella ricchezza.
L’ “ Homo Homini
Lupus” applicato alla solidarietà è davvero spaventoso. Senza dare giudizi
morali, questo far leva sul bisogno può
essere una nuova forma di alienazione ?
Secondo me lo è senza ombra di dubbio. Al tema centrale si
affianca la precarietà giovanile, se non ci fosse, se ci fossero delle
certezze, in molti casi non si creerebbe
il bisogno di fare questo lavoro. Il
problema è questa assenza di prospettive che costringe i ragazzi a rifugiarsi
in queste attività. Senza precarietà questo capitalismo selvaggio non avrebbe
modo di esistere. Non tutti i giovani sono così naturalmente ma l’assenza di alternative, ti pone a scendere
a compromessi. Per un istinto di sopravvivenza di memoria quasi freudiana , ci si adatta. L’80% dei giovani
di oggi continua ad adattarsi sacrificando un po’ sé stessi.
Nel affrontare questo
tema ci sono stati ripensamenti e paure? Cosa pensi ora della solidarietà delle
onlus?
Non ho avuto motivo di aver paura, perché descrivo una
realtà. La mia riflessione è sul sistema così come è congeniato, ha queste
pecche profonde e dure. Ho avuto molti ripensamenti ma alla fine ha vinto
questa voglia di raccontare , una voglia
di discuterne, una esperienza vissuta in maniera diretta dove le frustrazioni
che fa vivere questa attività mi hanno dato lo spunto e la forza per scrivere.
Io nonostante questa esperienza sono a favore della solidarietà, credo
nell’aiuto del prossimo, c’è bisogno di aiuto reciproco. Un consiglio credo sia
che l’aiuto è efficace quando è più prossimo e poi mi sento di spezzare una
lancia per le piccole onlus quelle che fanno fatica ad andare avanti. Bisogna
aiutare perché arricchisce ma bisogna cercare di farlo in piccole associazioni
e vivere in maniera diretta l’aiuto. Continuerò a credere nelle grandi onlus
quando cambieranno modo di comportarsi.
Cosa è la Bellezza?
La Bellezza è un’attitudine. La Bellezza si identifica con la libertà di poter rapportarsi
con gli altri e con il mondo in modo puro ed armonico.
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