In 470 dispersi nel mare di Vinicio
foto Annalisa Mancini |
di Francesco Altavista
Potenza –
Capitano che tu sia maledetto! Capitan
Vinicio è l’unico alla fine di quasi tre ore di spettacolo a raggiungere la
terra ferma, l’unico a poter baciare il palcoscenico come fosse Itaca , terra
natia per Ulisse ma anche prigione. Maledetto perché il resto del suo
equipaggio, circa quattrocentosettanta
persone, venerdì sera nell’auditorium
del conservatorio Gesualdo da Venosa di Potenza, non sono tornate a casa: il loro io continua
a sbattere sulle pareti dell’essere. Tutti dispersi nel mare di Capitan
Vinicio, un oceano sconosciuto perché intimo
e oscuro. Che nell’aria ci fosse
un’atmosfera frizzante e tesa lo si
capisce da subito, quando mentre il maestro Capossela si intratteneva in un
lunghissimo sound cheek, scatta un’emergenza: un manifesto dello spettacolo “
Marinai, profeti e balene” era stato attaccato all’ingresso della sala con
un vistoso e pacchiano nastro adesivo nero, anziché un elegante e
invisibile biadesivo ed è stato
necessario il celere e provvidenziale
l’intervento dello staff nordico del cantautore. Aldilà dei capricci
dell’entourage “caposseliano”,il pubblico
subito si accalca mettendo il crisi le povere hostess che in sala sono
le prime a perdersi. Un marinaio canterino
vende il giornale di brodo, a tre dobloni, tre euro nel mondo normale.
Nel frattempo il lamento di “Moby Dick “ prende vita dalla casse e fa
da colonna sonora alle chiacchiere pre -spettacolo. C’è chi chiama i propri
pareti lontani, chi i propri amici rimasti a casa, tutti intenti a dimostrare
la loro presenza ad un evento straordinario. La nave parte alle nove e mezza
circa da Potenza, il Capitano è l’ultimo a salire sull’imbarcazione , formata
da movibili ossa bianche che diventano ora un’arca, ora la carcassa della balena e al centro un
pianoforte a coda che diventa il timone. Per circa tre ore il cantautore e la
sua ciurma che brandisce con la
confusione e la precisione di un equipaggio in mare aperto qualsiasi tipo di strumento ed oggetto
viaggia tra la nebbia e l’oscurità che
abbraccia la sala. Si parte con “ Il Grande Leviatano”, subito nella grande
oscurità biblico dell’animo umano mentre il Capitano in mano ha il lume di
Hobbes e allora la grande bestia diventa preda, perché l’uomo non vuole essere
ingoiato. Capitan Vinicio da buon lestofante prepara la sua trappola alla sala
strapiena che ad ogni pezzo fa partire il suo applauso scrosciante. Convince il
pubblico che non vale la pena restare sulla terra ferma e li trascina con il dogma “noi
vogliamo del Rum, date un bicchiere di Rum” nel suo “ Oceano Oilàlà”.In
uno spettacolo incredibile di luci, musica e racconto il pubblico, ormai già perso e traballante
tra le onde, incontra parte di sé in ognuno dei personaggi che capitano Vinicio
presenta. Si parte con l’impiccagione di “ Billy Bud” presente in catene sul
palcoscenico e che si muove al ritmo del blues duro. In questo mare e con
questa arca che accoglie tutti quelli
che Noè per volere divino non ha potuto imbarcare, non esiste l’errore, o
meglio quest’ultimo diventa la caratteristica dell’umano e quindi inevitabile,
si parla di “ Lord Jim”, l’eroe che incontra il suo errore, come Adamo ed Eva
che mangiarono il frutto della conoscenza e per questo reietti. Vinicio con le
sue metafore imbriglia chi ascolta, mentre lui si trasforma insieme alle sue coriste. L’essere mutevole
capitan Vinicio diventa Achab e la sua gamba di legno risuona nella testa di
chi assiste, perchè il bianco diventa il colore da battere, l’assenza di colore
è il male.” Il bianco della Balena “ introdotto dallo strepitoso coro femminile è il colpo di
grazia a qualsiasi consapevolezza terrena. Le suggestioni di “I fuochi fatui” e “ Goliath” introducono
l’ennesima trasformazione: il capitano scende sempre di più nell’animo, diventa
“ Il polpo d’amor” , con una
metafora da fenomenologia dello spirito:
“otto braccia e può solo abbracciare solo se stesso” .La costruzione metaforica costruita intorno all’essere continua con “ Pryntyl”, la sirena da “Night Club”
mantenendo un legame con l’attimo del presente nel mondo reale. Il capitano con
l’otre di Aglianico fa ubriacare il “ Vinocolo” e poi la magia di Circe che
trasforma tutti in porci, lui compreso,
sulle note di una straordinaria versione del “ Ballo di San Vito”.”
Calipsco” e “ Le pleiadi” costruiscono la strada per raggiungere l’indovino
Tiresia e poi “ Nostos” e “ Santissima dei Naufragati” portano l’arca
di capitan Vinicio sulla terra ferma. Qui raccoglie quello che c’è, fa
provvista e fa alzare il pubblico con “ L’uomo vivo”, “Oceano oi là là” e “ Corvo
Torvo” che spiega, mentre il rapace nero svolazza sul palcoscenico , al
pubblico dove era finito il corvo di Noé: secondo Vinicio si è fermato in Basilicata. Richiamato dal
pubblico, arriva la faccia romantica del capitano che rafforza al pubblico la finzione della terra ferma. E’
il tempo di un’incredibile “ Con una
rosa” che introduce ad una jam session con Rocco Spagnoletta e Antonio
Bucaletto di Pignola membri del gruppo “ Musicamanovella” , cantano insieme una
lucana ed esilarante “ L’usignolo “. Che
cos’è l’amor” fa ballare e alzare il pubblico, prima della festa con “Al veglione”. Richiamato per la terza volta,
il capitano regala al pianoforte “ Le
sirene “ dopo aver recitato alcuni versi del poeta compianto Francesco Albano.
Si accendono le luci e il confine tra immaginario e reale sembra scomparso, la
mente continua a viaggiare sul mare del capitano e il sentimento del naufrago
abbandonato si trasforma in un’irrefrenabile voglia di un bicchiere di
Rhum, bevuto magari alla salute del capitano.