giovedì 9 agosto 2012

Parla un ex venditore di povertà :Quando una onlus diventa un guadagno

da " Il quotidiano della Basilicata"


Quando una onlus diventa un guadagno 



Viggiano –Non è una storia inventata ma è uno studio romanzato di una realtà,quella delle grosse Onlus  che  si rivolgono a delle imprese  per cercare affiliati e fondi. E’ un  libro interessante  ad opera del giovane lucano Francesco Petrone;  porta un titolo esaustivo e forte  se si guarda all’argomento in sé, “ Quando una onlus diventa un guadagno. Tecniche per arricchirsi salvando i bambini" . Ma non è tutto, la grande contraddizione  del guadagnare sfruttando le immagini della povertà  è anche il pretesto per raccontare una società fatta di giovani precari alla ricerca disperata di un lavoro in un mondo schiavo di un capitalismo selvaggio.  Francesco Petrone  è nato il 30 ottobre del 1981 a Marsicovetere ma è di Viggiano, ha avuto modo di  confrontandosi con diverse realtà attraverso i tanti viaggi,  ha studiato filosofia a Napoli e Scienze Politiche a Bruxelles, attualmente sta completando un dottorato preso l’università di Barcellona. Ha svolto i più svariati lavori :come  traduttore ( conosce oltre all’Italiano altre quattro lingue), interprete, organizzatore di eventi , qualche mese ai  Call center e naturalmente in un’impresa ingaggiata da una grossa Onlus. Questo il periodo,più di un anno, di studio antropologico e poi di realizzazione del libro, mesi nei quali Francesco prima di lasciare diventa anche uno dei migliori “ dialogatori”  o “venditori di povertà” ( espressione coniato da lui stesso nell’opera )   d’Italia. Per saperne di più della sua storia personale e del libro molto apprezzato tanto da farlo partecipare  al programma Rai “ Uno Mattina”, parliamo con Francesco Petrone in un’intervista per “ Il quotidiano della Basilicata”.   



Prima di parlare del tuo lavoro sulle onlus, una curiosità.  Hai due lauree, un dottorato e parli cinque lingue, cosa ti ha spinto a studiare così tanto ?
E’ un po’ una passione e poi perché mi sentivo sempre un po’ incompleto a livello di formazione personale. Con una laurea in filosofia   la prospettiva principale  è quella dell’insegnamento e in questa epoca di crisi non è che sia proprio uno sbocco garantito. Mi piacciono le relazioni internazionali e le scienze politiche, ho approfondito questi studi  a Bruxelles , un aspetto importante è il fatto che mi piacciono le lingue e quindi ho potuto viaggiare, studiare e lavorare allo stesso tempo. Questa esperienza all’estero è stata importate per imparare le lingue. La possibilità di stare a contatto con diversi ambienti ti consente di capire come funzionano i paesi diversi dal nostro. Si tratta di esperienza fuori per affrontare in modo più consapevole le difficoltà della  terra propria.    
Cominciamo a raccontare la tua storia.  Come un ragazzo pluri -qualificato  si ritrova in una onlus a lavorare come venditore di povertà?
  Dopo aver vissuto all’estero , nel 2008 ho deciso di tornare in Italia e cercare di ambientarmi nella mia nazione. Sono arrivato  a Roma ed ho cominciato ad inviare curriculum un po’ ovunque e tra le prime risposte  e proposte ho trovato questo colloquio  perché pensavo che fosse più attinente ai miei studi. La mia idea era quella di cominciare dal livello più basso quello del dialogatore e poi di occuparmi anche dei progetti, il settore delle Onlus mi interessava. Poi in realtà ho scoperto che  non ero contrattato direttamente dalla onlus ma da un’impresa di marketing australiana . Si occupava di marketing face to face, nelle piazze delle grandi città, cercando sostenitori per i progetti umanitari. Dopo un po’ mi sono scontrato con una realtà opposta a quello che mi aspettavo all’inizio, poi da lì è nata anche un po’ una crisi di identità per quanto riguarda l’attività stessa delle grandi onlus.         











Quando è iniziata questa sorta di crisi di  identità?In che termini  hai scoperto il paradosso?
Dopo un po’ già avevo capito come funzionava il tutto. Si cercava  di approfittare più possibile dell’immagine di chi veramente soffre come i bambini dell’altra parte del mondo per arricchirsi. Questa impresa è caratterizzata da un sistema piramidale per cui chi sta alla base ogni volta che trova un nuovo sostenitore fa guadagnare una percentuale a chi sta su. Il capo che era colui che dirigeva l’ufficio, prendeva queste percentuali ed arrivava a redditi mensili  anche  di 30 mila euro al mese. Con il tempo si poteva far carriera, far aprire altri uffici, arrivare a livelli superiori e guadagnare anche diversi milioni di euro. Esiste anche una prima contraddizione perché  questa impresa  ha sia un settore legato  alle onlus ( le più grandi quelle che possono pagare i servizi)sia uno  legato al settore puramente profit , dedicato alla vendita diciamo classica  di beni di consumo. Mi sono trovato in questa situazione all’inizio non volendo, poi per me è diventato uno studio antropologico. Non avevo previsto di scrivere un libro ma volevo studiare questo fenomeno che mi sembrava assurdo, sono rimasto un anno e qualche mese per capire bene il meccanismo che c’è alla base. Sono rimasto questo periodo un po’ per questo motivo, un po’perché nonostante le mie qualifiche non riuscivo a trovare occupazione.
Uno dei  punti fondamentali del libro è proprio questo studio antropologico – sociale  anche sulla condizione giovanile. Che tipo di persone lavorano in questo tipo di imprese?
Le persone che lavorano all’interno di queste imprese, sono persone provenienti da diversi ambiti. Ho dedicato un capitolo ad un mio amico che lavorava come fattorino , poi l’impresa ha chiuso ed è arrivato a lavorare da noi senza avere più alternative, non lo chiamava nessuno. C’erano altri che erano laureati con master all’estero, era un ambiente eterogeneo. Il profilo della persona che viene ricercata in questi ambienti è la persona che non fa molte domande e va lì per vendere e guadagnare con la prospettiva di fare tanti soldi, per generare profitti grandi e con il tempo aprire suoi uffici. Non è una prospettiva realistica perché non tutti ci arrivano. Molti si fermano al terzo gradino, c’è tutto un percorso, descritto nel libro,  per diventare manager, uno su cento riesce a farlo. Ci sono delle tecniche affilate che bisogna imparare. Si deve essere un po’ spietati. Il tipo di persona richiesta , riassumendo  in contraddizione alla filantropia delle onlus ,  è una persona che vuole diventare ricca a tutti i costi e sarebbe disposta a tutto.


Che riflessione questo studio ti ha spinto a fare sull’uomo?
La prima critica che mi viene da fare , è al sistema capitalista che ormai è entrato dappertutto ed ha cambiato le nostre prospettive e credo che in questo ambiente delle Onlus  si sia raggiunto il livello più basso. Qui si vede proprio come le persone sono disposte a fare di tutto e  si dimentica del  resto: la solidarietà tra colleghi non è un fatto  naturale, non c’è un affetto sincero se non una cosa creata dal sistema affinché le persone restino per aiutare chi sta su. Un’immagine negativa perché se uniamo questo sistema capitalista, alla precarietà giovanile e alla vendita della povertà ne esce fuori un essere umano cinico e che non guarda in faccia a nessuno. Forse è anche  un modo per chi non ha avuto tante possibilità nella vita di cercare un riscatto nella ricchezza.
L’ “ Homo Homini Lupus” applicato alla solidarietà è davvero spaventoso. Senza dare giudizi morali,  questo far leva sul bisogno può essere una nuova forma di alienazione ?
Secondo me lo è senza ombra di dubbio. Al tema centrale si affianca la precarietà giovanile, se non ci fosse, se ci fossero delle certezze,  in molti casi non si creerebbe il bisogno  di fare questo lavoro. Il problema è questa assenza di prospettive che costringe i ragazzi a rifugiarsi in queste attività. Senza precarietà questo capitalismo selvaggio non avrebbe modo di esistere. Non tutti i giovani sono così naturalmente ma  l’assenza di alternative, ti pone a scendere a compromessi. Per un istinto di sopravvivenza di memoria quasi  freudiana , ci si adatta. L’80% dei giovani di oggi continua ad adattarsi sacrificando un po’ sé stessi.
Nel affrontare questo tema ci sono stati ripensamenti e paure? Cosa pensi ora della solidarietà delle onlus?
Non ho avuto motivo di aver paura, perché descrivo una realtà. La mia riflessione è sul sistema così come è congeniato, ha queste pecche profonde e dure. Ho avuto molti ripensamenti ma alla fine ha vinto questa voglia di raccontare , una  voglia di discuterne, una esperienza vissuta in maniera diretta dove le frustrazioni che fa vivere questa attività mi hanno dato lo spunto e la forza per scrivere. Io nonostante questa esperienza sono a favore della solidarietà, credo nell’aiuto del prossimo, c’è bisogno di aiuto reciproco. Un consiglio credo sia che l’aiuto è efficace quando è più prossimo e poi mi sento di spezzare una lancia per le piccole onlus quelle che fanno fatica ad andare avanti. Bisogna aiutare perché arricchisce ma bisogna cercare di farlo in piccole associazioni e vivere in maniera diretta l’aiuto. Continuerò a credere nelle grandi onlus quando cambieranno modo di comportarsi.
Cosa è la Bellezza?     
  La Bellezza è un’attitudine. La Bellezza  si identifica con la libertà di poter rapportarsi con gli altri e con il mondo in modo puro ed armonico.  


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