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martedì 26 luglio 2011

Intervista: Ambrogio Sparagna cantore delle radici


da " Il quotidiano della Basilicata"

Ambrogio Sparagna cantore delle radici
di Francesco Altavista

Brienza – E’ il “main event” dell’edizione 2011 della manifestazione “Notti al castello- Anni Ribelli” di Brienza: giovedì 6 agosto varcherà le porte del castello burgentino il maestro Ambrogio Sparagna . E’ il massimo esperto di musica popolare italiana oltre ad essere un grande musicista di livello internazionale. Ambrogio Sparagna si esibirà a Brienza in concerto con l’ Orchestra Popolare Italiana dell'Auditorium del Parco della Musica di Roma alle 22:00 ma prima alle ore 20:30 un interessante dibattito sulla musica popolare con la presenza del maestro, coordinato dalla giornalista Margherita Agata e da Pancrazio Toscano. Per “ Il quotidiano della Basilicata” il maestro Ambrogio Sparagna si concede per un’intervista in anteprima.

Maestro partiamo dalla fine. Il suo ultimo l’album è “Taranta D’amore”, cambiando l’ordine delle parole del titolo forse la sintesi del suo grande lavoro sulla musica del sud. Cosa rappresenta per lei questo progetto?

Questo progetto chiude un periodo oramai pluridecennale di attività di ricerca sui ritmi della musica popolare e in particolare sui ritmi della tarantella che è la forma di musica che caratterizza tutta l’Italia meridionale e non solo perché poi è la base su cui si articolano tutte le forme di danza dell’Italia centrale e anche alcune dell’Italia del nord. E’ come se fosse la madre di tutte le danze italiane. Dal 2007 tutta l’esperienza che ho fatto nei vari linguaggi della musica popolare è confluita a Roma nell’”Auditorium del Parco della musica” dove ho messo insieme una grande orchestra con giovani musicisti di tutta l’Italia che vogliono valorizzare il patrimonio della musica tradizionale attraverso progetti musicali e di ricerca oltre che di produzione di spettacoli.

Nello studio della musica etnica, dove ha trovato più difficoltà?

Quando ho cominciato la difficoltà era proprio l’approccio scientifico, perché questo studio prevede una profondità di conoscenze musicologiche notevole. Inoltre la musica sta dentro un ambiente umano: conta più come si vive la musica che le note che si producono. Questa è la cosa più complessa da comprendere. Bisogna cercare sempre di mantenere questa orbita chiara: la musica popolare deve generare comunità, deve generare anche situazioni di degrado o tentativo di comunione delle persone. Si devono fare parecchi passi indietro come artista e stare vicino alla gente il più possibile. Non si tratta di fare musica commerciale, ma fare un prodotto di alto livello qualitativo che arrivi al cuore di tanta gente e non è detto che lo si riesca a fare sempre.

Perché secondo lei la musica etnica italiana è meno diffusa e famosa di altre come per esempio il blues ?

Siamo una colonia culturale. Io ricordo un incontro con Alan Lomax, il più grande etnomusicologo americano. Alla fine degli anni 70 venne a Roma per tenerci un corso all’Università. Una sera andò in giro per Roma per sentire la musica e nei locali romani , in particolare al Folk studio si faceva il blues e lui ad un ragazzo che suonava disse: “ ma scusa perchè suoni il blues, cosa c'entri tu con il blues? Ma tu consci la chitarra battente , conosci i cantori calabresi e Pugliesi? Hai mai sentito come cantano gli italiani, sono più emozionanti e ricchi del modo di cantare dei finti neri americani”. Questo aneddoto dimostra l’ignoranza verso la nostra cultura e questo è un chiaro progetto di egemonia culturale che altri hanno fatto su di noi. Abbiamo pagato con un’ignoranza che non ha eguali.

Lei attraverso i suoi studi e la musica ha ascoltato la voce dei popoli, specie quelli del sud. Cosa si può dire del meridione e dell’origine delle questione meridionale?

Proprio perché è una terra di contrasti genera sempre grandi tensioni e grandi movimenti. E’ una terra che non ha avuto una classe dirigente all’altezza, nonostante abbia avuto personaggi di rilievo assoluto. Oggi quando andiamo a fare il ragionamento sulla storia del meridione, non dobbiamo dimenticare questa anomalia. Il sud ha espresso figure di profilo istituzionale di rilievo, ma non ha saputo mettere in rete queste esperienze. Queste sono rimaste isolate, come in un deserto, è il problema di sempre, il sud non riesce a fare rete. Grandi idee , grandi progettualità, grandi figure ma alla fine si paga l’incapacità di metterle insieme.

Lei ha studiato il sud ma quale è il suo rapporto con la Basilicata?

Ho cominciato a conoscere la Basilicata verso la metà degli anni 70, in questo periodo ho cominciato ad attraversarla per cercare suonatori e cantori. Lo amata e continuo ad amarla è una regione che come dice il mio amico Pancrazio Toscano, ad ogni curva cambia paesaggio. Una regione così è una terra che ti prende al cuore e ti rimane nel profondo, non è una regione che si fa dimenticare. Una regione che si può vivere da turista e questa è anche la forza del sud. Io sono non soltanto di cultura meridionale ma anche un grande camminatore nei terreni del meridione, non puoi attraversarlo in maniera generica , ogni passo ti dà un segno di dolore e rabbia ma anche gioia e di appagamento della bellezza che incontri.

Cosa è la bellezza?

La Bellezza è conoscere la profondità delle persone che ti stanno davanti. La Bellezza è soprattutto il mondo che ci circonda costruito con gli sguardi d’amore.

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