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domenica 10 aprile 2011

La maledizione del poeta e Cyrano De Bergerac


da " Il quotidiano della Basilicata"

I tormenti di Cyrano secondo D'Elia

di Francesco Altavista


Potenza – “ Sono bella o mortali! Come un sogno di pietra e il mio seno, che a tutti fu tortura, fa del poeta nascere un amore, eterno e muto come la materia”: queste le parole maledette in alcuni versi della poesia “ La Bellezza” di Baudelaire. Portare in parole uno stato d’animo,dare un nome al silenzio e alle relazioni tra tutte le cose, riuscirlo a comunicare equivale, al poeta, quasi come una punizione come lo era per il grande poeta Vladimir Majakovskij che riunendo i cantori di versi sotto lo stesso destino diceva che la vita di un poeta finiva sulle linee delle parole che scriveva , che camminava, senza possibilità di cambiare,” sulla gola del proprio canto”. La rassegna “ Teatri in rete –voglia di teatro” porta sulle tavole del cine-teatro Don Bosco a Potenza lo scorso 4 aprile e al teatro “ Andrisani” di Montescaglioso il 5, una pièce che più di altre cose è la storia di un poeta : “ Cyrano De Bergerac” di Edmond Rostand, portato in scena dalla Compagnia “Teatri Possibili”. Corrado D’Elia vincitore del premio internazionale “Pirandello 2009”, regista e attore protagonista, costruisce in scena uno spettacolo abbastanza pimpante che lascia cadere un po’ della nobiltà francese di cui l’opera del 1897 faceva sfoggio al “Théâtre de la Porte-Sain-Martin” di Parigi nella sua prima rappresentazione. Le rime lasciano il posto ad una prosa elegante e poetica, riempie più della scenografia, a dir poco interessante e dinamica di Fabrizio Palla, si incastra tra le espressioni e sulla voce degli attori. Quest’ultima arriva delicata a tratti e poi quasi odiosa ma efficace quando viene alzata ma quando si trasforma in urlo nel caso di alcuni attori, diventa anche incomprensibile. Una versione digeribile anche per chi di teatro ne ha visto poco; per circa due ore e mezza D’Elia si muove sulla scena a suon di versi poetici. Unica pecca nel testo, forse lo scialbo cabaret da avanspettacolo che ogni tanto nei dialoghi fa capolino come un serpente dalla testa immonda. Il Cyrano presentato come detto è il simbolo della terribile maledizione del poeta, adibito a soffiare l’anima dentro il bello ma non intelligente nel favellare, Cristiano a sua volta destinatario dell’amore della bella Rossana. E poi quel naso, tolto al declamare di alcuni versi che rendono il protagonista sovrano incontrastato della relazione perché leggero riesce ad ergersi sopra le cose e poi indossato come una maschera di vergogna, pronta ad essere difesa anche con la spada. In scena un’altra figura interessante, il pasticciere che impegnato nel suo scrivere versi, perde il suo lavoro e la sua amata moglie che scappa con un rude moschettiere. Due immagini terribili mostrate in modo leggero e non spigoloso ma che comunque non dicono tutto. Una rappresentazione che forse lascia qualcosa di incompleto. D’Elia ci mostra sulle tavole anche l’arte al servizio del potente di turno, pronto a pagare. Sulla scena Cyrano urla davanti a questa proposta di guadagno un poderoso. “ No, grazie”. “Meglio allora crescere poco che leccare il tronco di un albero come fa un’edera”, così il protagonista interpretato da un bravo D’Elia spiega il suo poetare. Ma Cyrano è anche, come tutti i poeti, fuori dal suo tempo, non compreso o capito solo in parte, quella parte che alimenta l’odio verso di lui e da lui verso un mondo banale e becero. Cristiano muore in guerra e Cyrano riesce solo alla fine della sua vita a confessare il suo amore alla bella Rossana. Il poeta canta l’amore ma non lo può vivere se non nel cerchio ristretto del suo canto. Si torna a casa discutendo di poeti e poesia,consapevoli di aver visto parte della grande opera francese, una parte interessante e digeribile.


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