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mercoledì 20 aprile 2011

Fantasmi rivelatori della vita e l'anima di Pirandello


da "il quotidiano della Basilicata"

"Fantasmi" rivelatori dell'anima di Pirandello

di Francesco Altavista

Satriano di Lucania – Ogni volta che un uomo viene al mondo è come se ricevesse dai propri genitori un pugnale affilato e un pergamena non leggibile mai allo stesso modo, contenente istruzioni, valori e direttive di come non usarlo. Il teatro a volte mette l’uomo in condizione di riprendere e lustrare quel pugnale magari usarlo e di strappare quella pergamena. Grazie alla rassegna “ Le valli del teatro” e alla compagnia “ Vetrano –Randisi” questo è stato possibile, è stato possibile avere l’arte di Pirandello con lo spettacolo “Fantasmi”. Per carità nessuna questione di sangue, il pugnale della verità non ferisce il corpo, anche se per zittire qualche spettatore ululante che chiacchiera, disturba e poi si alza durante lo spettacolo al teatro Pino di Moliterno,sarebbe stato utile. Da ringraziare Domenico De rosa ( direttore artistico) e Rocco Positino (direttore organizzativo) che chiudono la rassegna “ Le valli del teatro”, stagione 2010/2011, a Satriano di Lucania ( teatro “ Anzani)il 15 e a Moliterno ( Teatro Pino) il 16 Aprile, con la compagnia “Vetrano - Randisi”. Vetrano dall’inizio è in sala, a guardare con gli occhi socchiusi, sornioni e una risatina curiosa e beffarda il pubblico che confusamente cerca i posti a loro assegnati; è nei panni vecchi e bistrattati dell’uomo dal fiore in bocca perennemente con quel pugnale in mano mentre a distanza da lui c’è la moglie, interpretata da Margherita Smedile che si disegna sul viso un’espressione incredibilmente triste ma anche romantica: lei si nasconde negli anfratti gentili del teatro e conserva gelosamente la pergamena di “famiglia”. Poi pian paino le luci, gestite tutte da un grandissimo Maurizio Viviani, in sala si fanno soffuse, dalla sala lentamente scompaiono le figure inquietanti di prima , al centro della scena entra Stefano Randisi. Quest’ultimo recita parte della novella di Pirandello del 1915 “Colloqui coi personaggi”. Incastonato al meglio il dialogo tra “ Toto’ e Vince’” di Franco Scaldati, un’interessante variazione non pirandelliana che consegna un carattere tragicomico allo spettacolo e ci mostra una bravura ineccepibile in Vetrano e Randisi. Arriva poi il momento più emozionante dell’intera pièce: la messa in scena di “ Sgombero”, un atto unico rovente di Pirandello. La lacrime prendono a schiaffi il viso, al monologo della sorprendente Margherita Smedile, nei panni di una ragazza che prima brucia con il fuoco della passione la pergamena delle cose da non fare, poi viene picchiata , derisa ed abbandonata dal padre che gli mostra il pugnale della vergogna. Torna proprio per il funerale del genitore. Fantastico il racconto della gravidanza , dell’abbandono del bambino alla famiglia che l’aveva cacciata e struggente la ninnananna che chiude il monologo con il ricordo del figlio morto, nella stessa casa dove ora c’era il cadavere del padre e dove lei era stata pugnalata quale tempo prima con il disonore. Smedile consegna al pubblico l’illusione che diventa persona nel falso staccarsi dal padre come un pugnale che taglia una cascata d’acqua. Se si guarda la lama si taglia con facilità e l’acqua cambia direzione, se invece si guarda la cascata quel gesto di recisione è falso. Questi elementi di relativismo insieme alla figura femminile che anche ne “L’Uomo dal fiore in bocca” dà colore, sono i punti di forza dell’intera rappresentazione, oltre naturalmente alla bravura degli attori. L’Uomo dal fiore in bocca , condannato a morire cerca con il suo pugnale di lacerare le vene delle cose inutili che il genere umano fa nella propria vita così sarà più facile recidere le sue, ma la vita è ingorda e anche incompleta, sarebbe come tagliare un filo d’erba già reciso dal terreno. Dal labirinto pirandelliano non si riesce mai ad uscire ma entrarci è un onore, bisogna certo ringraziare gli esperti di “ Valli del teatro” con augurio di buon teatro per l’anno prossimo.

sabato 16 aprile 2011

La pena di morte: A teatro con Maria Barbella


da " Il quotidiano della Basilicata"


Maria Barbella, Intimità surreale

di Francesco Altavista

Potenza – “Mimì è o’ me! Mimì è o’ me!” : con questa cantilena in ferrandinese, dotata di una sonorità pungente e disarmante, Maria Barbella si ripete una consapevolezza sbagliata, un sogno irrealizzabile, un gesto d’amore ripetuto ma in ogni caso non reale, quello di essere amata. Il teatro “F. Stabile” di Potenza viene invaso da queste parole, portante in scena dalla Compagnia “ Senza Teatro” per la rassegna “Cantieri d’arte” organizzata da “Cose di teatro e musica” lo scorso venerdì. In scena un solo attore il bravissimo Francesco Evangelista, in sala poco più di una ventina di eletti, fortunati per aver goduto in un’intimità surreale uno spettacolo incredibile. Non è semplicemente una storia contro la pena di morte ma è Maria Barbella. Lo spettacolo “ Maria Barbella, dal braccio della morte alla vita” , scritto dallo stesso Evangelista insieme a Davide Di Prima e Adriano Nubile realizza negli occhi dello spettatore immagini di cose: visibili, come un baule , una sedia, una valigia qualche vestito e sullo sfondo un telo bianco messo in modo da disegnare una vela, a rappresentare ben illuminato la distanza e la nave dei desideri; non visibili, quelli che Evangelista usa e mima con le mani, a riprendere le tradizioni della terra di Basilicata; entusiasmante e carico di pietà quando mima la mietitura e la fatica dei contadini. L’attore ferrandinese mette in scena emozioni: le parole , i fatti e gli oggetti sono solo cornice ad una quadro della realtà incredibilmente gravido di nostalgia, verità,amore e bellezza. Il testo tratto dal libro di Idanna Pucci, “ La signora di Sing Sing no alla pena di morte” entra nel sangue ed attraversa tutto il corpo dei presenti, pulsa verso il cuore che diventa una gabbia troppo stretta per trattenere le lacrime. La regia affidata a Di Prima e Nubile rasenta la perfezione, Evangelista si muove sulle importanti tavole dello “Stabile” ma contemporaneamente si muove sbattendo qua e là nella testa dello spettatore. Violento come uno schiaffo e delicato come un soffio all’orecchio il canto popolare in ferrandinese di Domenica Lisanti che come altri elementi di tradizione lucana, vengono mostrati non più sul tempo come retta dritta divisa tra passato e presente ma su un’entità sferica, dove tutto si confonde e non c’è punto né di origine , né di divisione, solo un precario posto di appoggio che è motivo e non destino della realtà. Maria Barbella viene messa in scena da un uomo che ne riprende sensibilità, movimenti e paure, Evangelista è eccezionale, mette in scena tutti i protagonisti di questa storia, ci racconta in movimenti e sensazioni, gli anni delle emigrazioni verso gli Stati Uniti, il 1895. “ Come il grano tolto dalla terra durante la mietitura“, così viene descritto chi emigra, chi vive nella totale nostalgia della sua terra alla ricerca di una lavoro, alla ricerca di dignità. Persone esiliate dalla propria terra e marchiate con una croce nera sulle spalle: dei delinquenti, dei ruba lavoro per gli americani, questi ultimi stupidi inconsapevoli della ricchezza delle vite donate ad una terra che non è propria. La scelta delle musiche da parte di Di Prima sono incredibilmente centrate sull’azione come lo sono le luci gestite da Nubile. Da brividi a metà faccia illuminata, il rimprovero della madre di Maria, un richiamo tutto riconoscibilmente lucano. Maria Barbella viene salvata dalla sedia elettrica grazie alla prima campagna contro la pena di morte avviata dalla Contessa di Brazzà , nonostante abbia ucciso l’uomo che amava dopo essere stata sedotta e poi costretta alla schiavitù fisica e morale con la promessa non mantenuta del matrimonio. Questa storia nella Basilicata dominata del maschilismo sarebbe finita in modo diverso, per fortuna Maria Barbella era emigrata in America.


domenica 10 aprile 2011

La maledizione del poeta e Cyrano De Bergerac


da " Il quotidiano della Basilicata"

I tormenti di Cyrano secondo D'Elia

di Francesco Altavista


Potenza – “ Sono bella o mortali! Come un sogno di pietra e il mio seno, che a tutti fu tortura, fa del poeta nascere un amore, eterno e muto come la materia”: queste le parole maledette in alcuni versi della poesia “ La Bellezza” di Baudelaire. Portare in parole uno stato d’animo,dare un nome al silenzio e alle relazioni tra tutte le cose, riuscirlo a comunicare equivale, al poeta, quasi come una punizione come lo era per il grande poeta Vladimir Majakovskij che riunendo i cantori di versi sotto lo stesso destino diceva che la vita di un poeta finiva sulle linee delle parole che scriveva , che camminava, senza possibilità di cambiare,” sulla gola del proprio canto”. La rassegna “ Teatri in rete –voglia di teatro” porta sulle tavole del cine-teatro Don Bosco a Potenza lo scorso 4 aprile e al teatro “ Andrisani” di Montescaglioso il 5, una pièce che più di altre cose è la storia di un poeta : “ Cyrano De Bergerac” di Edmond Rostand, portato in scena dalla Compagnia “Teatri Possibili”. Corrado D’Elia vincitore del premio internazionale “Pirandello 2009”, regista e attore protagonista, costruisce in scena uno spettacolo abbastanza pimpante che lascia cadere un po’ della nobiltà francese di cui l’opera del 1897 faceva sfoggio al “Théâtre de la Porte-Sain-Martin” di Parigi nella sua prima rappresentazione. Le rime lasciano il posto ad una prosa elegante e poetica, riempie più della scenografia, a dir poco interessante e dinamica di Fabrizio Palla, si incastra tra le espressioni e sulla voce degli attori. Quest’ultima arriva delicata a tratti e poi quasi odiosa ma efficace quando viene alzata ma quando si trasforma in urlo nel caso di alcuni attori, diventa anche incomprensibile. Una versione digeribile anche per chi di teatro ne ha visto poco; per circa due ore e mezza D’Elia si muove sulla scena a suon di versi poetici. Unica pecca nel testo, forse lo scialbo cabaret da avanspettacolo che ogni tanto nei dialoghi fa capolino come un serpente dalla testa immonda. Il Cyrano presentato come detto è il simbolo della terribile maledizione del poeta, adibito a soffiare l’anima dentro il bello ma non intelligente nel favellare, Cristiano a sua volta destinatario dell’amore della bella Rossana. E poi quel naso, tolto al declamare di alcuni versi che rendono il protagonista sovrano incontrastato della relazione perché leggero riesce ad ergersi sopra le cose e poi indossato come una maschera di vergogna, pronta ad essere difesa anche con la spada. In scena un’altra figura interessante, il pasticciere che impegnato nel suo scrivere versi, perde il suo lavoro e la sua amata moglie che scappa con un rude moschettiere. Due immagini terribili mostrate in modo leggero e non spigoloso ma che comunque non dicono tutto. Una rappresentazione che forse lascia qualcosa di incompleto. D’Elia ci mostra sulle tavole anche l’arte al servizio del potente di turno, pronto a pagare. Sulla scena Cyrano urla davanti a questa proposta di guadagno un poderoso. “ No, grazie”. “Meglio allora crescere poco che leccare il tronco di un albero come fa un’edera”, così il protagonista interpretato da un bravo D’Elia spiega il suo poetare. Ma Cyrano è anche, come tutti i poeti, fuori dal suo tempo, non compreso o capito solo in parte, quella parte che alimenta l’odio verso di lui e da lui verso un mondo banale e becero. Cristiano muore in guerra e Cyrano riesce solo alla fine della sua vita a confessare il suo amore alla bella Rossana. Il poeta canta l’amore ma non lo può vivere se non nel cerchio ristretto del suo canto. Si torna a casa discutendo di poeti e poesia,consapevoli di aver visto parte della grande opera francese, una parte interessante e digeribile.


giovedì 7 aprile 2011

Donne,mezzi uomini e fosse del peccato

da "Il quotidiano della Basilicata"

di Lucia Serino


Quel cimitero degli aborti a Montescaglioso una vera canagliata

di Lucia Serino



E’ passata sotto silenzio l’orrida iniziativa del comune di Montescaglioso di inaugurare, nel cimitero locale, l’area dei bambini mai nati. In pratica una fossa a perenne memoria degli aborti. L’iniziativa è ovviamente benedetta dal vescovo e viene presentata non come un vendicativo “ memento” della colpa delle donne ma come la possibilità-offerta dalla legge- di avere un posto dove piangere il feto ( con foto della prima ecografia?).

Lo dico subito: è una delle cose più infami e più canagliesche che si potesse pensare contro le donne: un’area specifica del cimitero, recintata, delimitata in modo da essere immediatamente individuata come la zona del peccato, perché ammesso che sia qualche genitore ( e ribadisco genitore e non madre) disposto ad accogliere l’invito del sindaco-tutti, sapendo cosa o chi c’è li sotto, si porranno maliziosi il quesito sulla volontarietà o meno dell’interruzione di gravidanza.

E in un paese grande assai come Montescaglioso ci vorranno due gironi e forse meno per mettere una X sulle case delle assassine. Il dpr che citano al Comune non dice affatto quello che il sindaco(facente funzione) vuole fare:dice semplicemente che –a richiesta – devono essere accettati per la sepoltura al cimitero anche i feti. Dunque” a richiesta”. Se qualcun chiede deve essere disposto, ma non in una zona a parte, non in un angolino del peccato. Possiamo fare tranquillamente a meno del servizio che vogliono gentilmente offrirci d’accordo con il vescovo. Dire che questa decisione è maschilista e oltraggiosa dell’indispensabile laicità dell’agire politico è poco. Dovrebbe sapere il sindaco di Montescaglioso che si appresta alla ieratica cerimonia programmata per metà aprile, che di solito i figli, nati o non nati, sono di una madre o di un padre. Dovrebbe sapere che gli aborti spesso sono il frutto della paura. Dovrebbe sapere che un aborto è,clinicamente, la prima causa di depressione femminile. Dovrebbe sapere che non di una fossa su cui piangere hanno bisogno le donne ma di una società che le aiuti a diventare madri. Dovrebbe sapere che nessuna donna sceglie di abortire in allegria e dunque che di consapevolezze maggiori c’è bisogno perché si faccia circolare una cultura meno paesana e ipocrita che spieghi fuori e dentro le sagrestie che il sesso non è peccato e che l’uso di un anticoncezionale è cosa buona e opportuna: al catechismo si potrebbe parlare anche di questo oltre che insegnare a memoria l’atto di dolore a otto anni. Così da non trovarsi nell’imbarazzo di dover presentare a scuola un certificato medico per l’esonero dall’ora di educazione fisica di tua figlia incinta a sedici anni, come è successo a ben tre madri contemporaneamente a Potenza. E’ sconcertante pensare che nella regione dove c’è il più alto tasso di obiettori di coscienza, dove perciò chi ha deciso un’interruzione di gravidanza( che è legge dello Stato, questa sì) deve farlo clandestinamente o inserirsi in lunghissime liste d’attesa, si eriga - adesso-anche un monumento alle donne streghe e vigliacche. Non una parola ho letto in questi giorni da parte di quelle associazioni femminili che si prodigano in convegni sulla violenza femminile, come se la violenza fosse solo sangue e non anche tormento. Io spero che a Montescaglioso ci ripensino, che cambino almeno il vocabolario che tradisce- nell’uso delle parole scelte per annunciare la solenne decisione-una prospettiva esclusivamente femminile. L’altra sera a Potenza il professore Bonsera, presidente del premio Basilicata,presentando il libro di Anna Rivelli, diceva: la questione femminile? Superata, ormai. Eccola qua, invece, eccome un esempio, perché se non sarà più la libertà di scegliere il problema che abbiamo noi donne, quello per cui la nostra libertà ci debba essere per sempre rinfacciata, sì, c’è l’abbiamo ancora questo fardello.

mercoledì 6 aprile 2011

Stregati dal Pirandello di Sandro Lombardi


da "Il quotidiano della Basilicata"

Stregati da Pirandello

di Francesco Altavista



Potenza – “ La vita è talmente ingorda che non si riesce a goderne mai totalmente”: questa la sintesi dell’inno tragicomico alla vita che Lombardi nei panni dell’uomo dal fiore in bocca, regala al numeroso pubblico del teatro “ F. Stabile” di Potenza nell’ambito della rassega organizzata da “ Cose di teatro e musica” “ Voglia di teatro- teatri in rete”. Questo spettacolo ha la peculiare qualità di farti uscire per strada senza avere domande nella testa, come se quelle parole pirandelliane avessero detto tutto ed ora meritassero silenzioso rispetto o magari perché si è scoperto che anche il sollievo e la delusione sono una costruzione fallace di una speranza tradita. Sandro Lombardi e Roberto Latini mettono sulle tradizionali tavole dello “Stabile”, una rappresentazione straordinaria dell’atto unico del genio di Agrigento.Ci si alza dalle rosse sedie con il desiderio impellente di guardarsi patologicamente attorno; la storica via Pretoria di Potenza diventa il regno dell’assurdo della vita, le maschere viste sul palcoscenico ti perseguitano, mentre a passo lento immagini e fantasmi giocano nei tuoi occhi. Sulla sinistra un portone pieno di fiori, d’altra parte ragazzi appoggiati ai marmi dei negozi chiusi, altri in coppia mentre si regalano un sorriso che è terribilmente triste. La stessa risata della pièce quella fatta ripetere da un cinico eco mostrato da un sistema audio perfetto. Il sipario non è mai chiuso, al centro una gabbia ottagonale ornata qui e là con delle piume bianche e al centro un’altalena da prima ferma e poi in movimento; tutto subito visibile dal pubblico appena arriva in teatro. La scena quindi invade la platea, sul palco c’è la vita; sul palco c’è la realtà. Un esempio di teatro sperimentale al limite della perfezione, un teatro che prende vita, parla per simboli e metafore; parla per costruzioni quasi “Nietzschiane”, forse più nichiliste e pungenti. Gli studenti che prima dello spettacolo giochicchiano con i loro cellulari facendo fare qualche smorfia perbenista a qualche “borghesotto” potentino, a fine spettacolo sono estasiati, in piedi per l’inchino finale ad applaudire. Lombardi è un maestro assoluto, tiene la scena con straordinaria eleganza e potenza, cattura l’attenzione, ammalia ed affascina con la sua voce mai in totale e scialbo equilibrio. Arriva con i guanti,scarpe esagerate e il viso tinto di bianco, è lui l’uomo con l’epitelioma, il fiore che gli ha prestato la morte e che lei tornerà per riprenderselo. E’ un clown amaro, triste, saggio e conoscitore. Parla con parole taglienti e “felliniane”, ben incastonate con i fendenti della tromba e delle altre colonne sonore incredibili di Gianluca Misiti. Già la musica tra il jazz sperimentale, il grunge, allo space rock e all’Ambient music, sempre presente a volte interrotta da uno sparo di pistola. La regia è perfetta, emozionante, stracolma di simboli e di genialità, affidata ad un’eccezionale Roberto Latini. Quest’ultimo è un misto tra Marcel Marceau, un efebo bunueliano e Charlie Chaplin quando si muove, quando le parole che vengono espresse durate la pièce prendono forma con il corpo degli attori. Il suo recitare è eccitante, non solo è il corpo a muoversi ma anche la voce che da flebile e bambinesca si trasforma fino a diventare nella stessa frase, profonda, passionale, rabbiosa ricordando un po’ un Carmelo Bene dei bei tempi. Un teatro straordinario quello del maestro Lombardi e di un emozionante e bravissimo Latini,un pièce che è durata solo un’ora ma che è riuscita a mettere in fila tutti i sogni e le speranze, in fila verso la vita oppure verso la morte.