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lunedì 21 novembre 2011

Marinai,profeti e balene con Capitan Vinicio

da " Il quotidiano della Basilicata"


In 470 dispersi nel mare di Vinicio
foto Annalisa Mancini

di Francesco Altavista 

Potenza – Capitano che tu sia maledetto!  Capitan Vinicio è l’unico alla fine di quasi tre ore di spettacolo a raggiungere la terra ferma, l’unico a poter baciare il palcoscenico come fosse Itaca , terra natia per Ulisse ma anche prigione. Maledetto perché il resto del suo equipaggio, circa  quattrocentosettanta persone, venerdì sera  nell’auditorium del conservatorio Gesualdo da Venosa di Potenza,  non sono tornate a casa: il loro io continua a sbattere sulle pareti dell’essere. Tutti dispersi nel mare di Capitan Vinicio, un oceano sconosciuto perché intimo  e oscuro.  Che nell’aria ci fosse un’atmosfera frizzante e tesa   lo si capisce da subito, quando mentre il maestro Capossela si intratteneva in un lunghissimo sound cheek, scatta un’emergenza: un manifesto dello spettacolo “ Marinai, profeti e balene”  era  stato attaccato all’ingresso della sala con un vistoso e pacchiano nastro adesivo nero, anziché un elegante e invisibile  biadesivo ed è stato necessario il celere e  provvidenziale l’intervento dello staff nordico del cantautore. Aldilà dei capricci dell’entourage “caposseliano”,il pubblico  subito si accalca mettendo il crisi le povere hostess che in sala sono le prime a perdersi. Un marinaio canterino  vende il giornale di brodo, a tre dobloni, tre euro nel mondo normale. Nel frattempo il lamento di “Moby Dick “ prende vita dalla casse  e  fa da colonna sonora alle chiacchiere pre -spettacolo. C’è chi chiama i propri pareti lontani, chi i propri amici rimasti a casa, tutti intenti a dimostrare la loro presenza ad un evento straordinario. La nave parte alle nove e mezza circa da Potenza, il Capitano è l’ultimo a salire sull’imbarcazione , formata da movibili ossa bianche che diventano ora un’arca,  ora la carcassa della balena e al centro un pianoforte a coda che diventa il timone. Per circa tre ore il cantautore e la sua ciurma  che brandisce con la confusione e la precisione di un equipaggio in mare aperto   qualsiasi tipo di strumento ed oggetto viaggia   tra la nebbia e l’oscurità che abbraccia la sala. Si parte con “ Il Grande Leviatano”, subito nella grande oscurità biblico dell’animo umano mentre il Capitano in mano ha il lume di Hobbes e allora la grande bestia diventa preda, perché l’uomo non vuole essere ingoiato. Capitan Vinicio da buon lestofante prepara la sua trappola alla sala strapiena che ad ogni pezzo fa partire il suo applauso scrosciante. Convince il pubblico che non vale la pena restare sulla terra  ferma e li trascina  con il dogma “noi vogliamo del Rum, date un bicchiere di Rum” nel suo “ Oceano Oilàlà”.In uno spettacolo incredibile di luci, musica e racconto  il pubblico, ormai già perso e traballante tra le onde, incontra parte di sé in ognuno dei personaggi che capitano Vinicio presenta. Si parte con l’impiccagione di “ Billy Bud” presente in catene sul palcoscenico e che si muove al ritmo del blues duro. In questo mare e con questa arca che accoglie  tutti quelli che Noè per volere divino non ha potuto imbarcare, non esiste l’errore, o meglio quest’ultimo diventa la caratteristica dell’umano e quindi inevitabile, si parla di “ Lord Jim”, l’eroe che incontra il suo errore, come Adamo ed Eva che mangiarono il frutto della conoscenza e per questo reietti. Vinicio con le sue metafore imbriglia chi ascolta, mentre lui si trasforma  insieme alle sue coriste. L’essere mutevole capitan Vinicio diventa Achab e la sua gamba di legno risuona nella testa di chi assiste, perchè il bianco diventa il colore da battere, l’assenza di colore è il male.” Il bianco della Balena “  introdotto  dallo strepitoso coro femminile è il colpo di grazia a qualsiasi consapevolezza terrena. Le suggestioni di “I  fuochi fatui” e “ Goliath” introducono l’ennesima trasformazione: il capitano scende sempre di più nell’animo, diventa “ Il polpo d’amor” ,  con una metafora  da fenomenologia dello spirito: “otto braccia e può solo abbracciare solo se stesso” .La costruzione  metaforica costruita intorno  all’essere continua con  “ Pryntyl”, la sirena da “Night Club” mantenendo un legame con l’attimo del presente nel mondo reale. Il capitano con l’otre di Aglianico fa ubriacare il “ Vinocolo” e poi la magia di Circe che trasforma tutti in porci, lui compreso,  sulle note di una straordinaria versione del “ Ballo di San Vito”.” Calipsco” e “ Le pleiadi” costruiscono la strada per raggiungere l’indovino Tiresia  e poi “ Nostos”  e “ Santissima dei Naufragati” portano l’arca di capitan Vinicio sulla terra ferma. Qui raccoglie quello che c’è, fa provvista e fa alzare il pubblico con “ L’uomo vivo”, “Oceano oi là là” e “ Corvo Torvo” che spiega, mentre il rapace nero svolazza sul palcoscenico , al pubblico dove era finito il corvo di Noé: secondo Vinicio  si è fermato in Basilicata. Richiamato dal pubblico, arriva la faccia romantica del capitano che rafforza  al pubblico la finzione della terra ferma. E’ il tempo di un’incredibile  “ Con una rosa” che introduce ad una jam session con Rocco Spagnoletta e Antonio Bucaletto di Pignola membri del gruppo “ Musicamanovella” , cantano insieme una lucana ed esilarante  “ L’usignolo “. Che cos’è l’amor” fa ballare e alzare il pubblico, prima della festa con  “Al veglione”. Richiamato per la terza volta, il capitano regala al pianoforte  “ Le sirene “ dopo aver recitato alcuni versi del poeta compianto Francesco Albano. Si accendono le luci e il confine tra immaginario e reale sembra scomparso, la mente continua a viaggiare sul mare del capitano e il sentimento del naufrago abbandonato  si trasforma  in un’irrefrenabile voglia di un bicchiere di Rhum, bevuto magari alla salute del capitano.      

venerdì 11 novembre 2011

"Italia, la mia Africa " di Mvula Sungani con Emanuela Bianchini

 da "Il quotidiano della Basilicata"

Con Emanuela come in Paradiso


di Francesco Altavista



Potenza- Sembra di essere in Paradiso e non per l’altissima  percentuale di donne che in uno strano lunedì  sera  quasi riempiono il teatro Don Bosco di Potenza per il primo spettacolo della rassegna “ Teatri in rete- voglia di teatro” ;  e nemmeno per gli splendidi occhi dell’etoile Emanuela Bianchini anche se meriterebbero un romanzo cantato e in rima  per quello che raccontano se solo si riuscisse a fermare il battito fremente del cuore alla loro vista. E’ un Paradiso perché la scelta degli organizzatori di “ Cose di teatro e Musica” di cominciare con “ Italia, la mia Africa” spettacolo di danza, musica e teatro della compagnia di Mvula Sungani, è stato come un segno divino del grande bisogno di arte, ben interpretato, che sente questa terra. Un paradiso perché le coreografie del maestro Sungani sono delle sculture di carne viva e di sangue  e con il rischio di essere blasfemi, superano i limiti della creazione dell’umano, arrivando a toccare, attraverso la danza  le teorizzazioni teatrali e le visioni della biomeccanica umana di Vsevolod Mejerchol'd, l’allievo dissidente di Stanislavskij. Tanta fisicità, tanta arte riempiono i cuori degli spettatori che dopo un’ora circa di spettacolo si lasciano andare a quasi cinque minuti di applausi ininterrotti “L’Italia, la mia Africa” che con la serata di Potenza comincia la sua tournèe invernale,  supera persino i preconcetti legati alla danza,  rompono con una fisicità estrema i perbenismi e insegnano alle tante ragazzine presenti provenienti dai centri di danza del capoluogo lucano, cosa è in realtà la danza: il mondo meraviglioso che cresce fuori e  i tanti sacrifici che invece ci sono dietro nascosti dalla bellezza dei loro movimenti. Alessia Giustolisi, Ilaria Ostili,Maria Izzo, Chiara Grella, Florida Uliano, Damiana Crescenzi e Antonio Sardella  sono davvero dei corpi in evoluzione che disegnano simboli e scrivono  nell’aria parole che non raccontano ma  emozionano. Poco invece il recitato  a cui è affidata la storia, una serie semplici  eventi che raccontano una vita quella di Sungani  nato in Italia da padre africano. Sul palcoscenico si assiste all’amore, all’abbandono, alle speranze, ad una ricerca che si esaurisce alla fine nell’accettare l’Italia come sua Africa. Ed ecco che come avviene nel mediterraneo tutto si contamina ma non si confonde, la differenziazione di culture e solo un modo per unirsi,è solo un modo per creare una nuova identità  multiforme e multicolore. Come d’altra parte la musica che dall’elettronica, passa alla musica popolare eseguita dal vivo: con l’utilizzo di chitarra e Loop- station  nelle mani del maestro Riccardo Medile; con  le tamorre del gradissimo Nando Citarella anche cantante e arrangiatore dei pezzi , senza dimenticare la voce straordinaria di Gabriella Aiello. Citarella  che ha incontrato Sungani nella giornata per Caruso, si dimostra un mago con le sue tamorre,  i ritmi popolari che si sporcano di terra e che seguono il ritmo dei cuori .  Sullo sfondo la danza  e  in quel tripudio di arte, la protagonista la bellissima Emanuela Bianchini si muove  come se ogni cellula del suo corpo fosse legata alle molecole dell’aria, correggendo quasi in modo trascendentale lo spartito divino del mondo. “Tanto sangue per dare forma  alla Bellezza”  ci spiega Sungani prima dello spettacolo. Infatti  è come se nella pièce il sangue, il corpo, la carne viva nutrisse la bellezza, trascinando tutti nell’altrove che poi risulta più vicino di quello che si pensi. Lo spettacolo infatti  non si allontana mai troppo dalla terra e  si conclude con una pizzica che richiama la magia della terra del sud, nella quale gli angeli sul palco si trasformano in avvenenti ninfe che carezzano  la coscienza e consentono al pubblico dei più sensibili di innamorarsi carnalmente dell’arte. Una scelta felice ed entusiasmante  per gli appassionati di  “ Cose di teatro e musica”  che promettono   la miglior rassegna degli ultimi cinque anni.