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lunedì 24 dicembre 2012

Colpi di Fulmine,Arisa è Tina da Pignola

da " Il quotidiano della Basilicata"

Arisa con De Sica  in " Colpi di Fulmine" 



di Francesco Altavista 




----  Il Natale sui film fa lo stesso effetto del freddo inverno  sui cerri, li spoglia di ogni bellezza riducendoli a scheletriche ombre di ciò che  normalmente dovrebbero essere. “ Colpi di Fulmine” per la regia di Neri Parenti che ne scrive anche la sceneggiatura insieme a Saverni, Bencivenni e De Biase, non doveva essere, almeno leggendo le presentazioni, il solito film natalizio e invece  è un cine – panettone a tutti gli effetti, a dirla tutta ,anche un po’ indigesto. Neri Parenti non abbandona il suo stile di anti cristo, si burla del Papa, dei preti e addirittura nella prima storia affida la parte di un villoso e vizioso sacerdote al noto anticlericale e vignettista  Vauro Senesi. Questa satira vaticana poteva essere una buona cosa e invece “ Colpi di Fulmine” diventa solo un  colpo,  allo stomaco e alla testa in una sceneggiatura che mostra allo spettatore profonde e incolmabili voragini, il fulmine probabilmente arriva ma  evocato più volte da chi guarda il film. Quest’ultimo  è diviso in due storie indipendenti  ed è la seconda vicenda  a salvare in parte la pellicola. L’intreccio non è niente di eccezionale, una storia già sentita di due mondi che per amore si incontrano: l’ambasciatore che si innamora di una burina pescivendola  ed è costretto a dimenticare i suoi modi signorili per conquistarla.Non è  quindi   la vicenda narrata, talmente banale a tratti da sradicarla da quel poco di romanticismo che fa sempre bene ai film mediocri, a dare alla  pellicola un minimo di salvezza  ma è la straordinaria comicità d’autore di Lillo e Greg e la bellezza di Anna Foglietta classe 1979 insieme ad un cast forse più interessante della  prima storia a svegliare un po’ il pubblico. Nonostante questo la non attrice per eccellenza di questa pellicola, anche se ormai ha nel suo curriculum ben tre film ,  la lucana Arisa, tra gli attori della prima storia,  non dispiace: certo la parte scelta per lei è quella della perpetua Tina da Pignola che probabilmente, nonostante farà contenti i suoi compaesani nominando la sua cittadina arricchendola da frasi in vernacolo pignolese, la mortifica un po’. 


Non solo perché ancora una volta è costretta a vestire i panni della religiosa e si innamorerà suggellando con un bacio finale del sacrestano interpretato da  Simone Barbato che, con tutto il rispetto, non è al suo livello; ma anche perché fa la parte della maschera e  della caricatura comica che ha poco da dire, un ruolo che nella vita ha cercato di scacciare in tutti i modi. Certamente è lei Tina da Pignola  la spalla più divertente dei dialoghi del protagonista assoluto Cristian De Sica : un medico che per scappare dalla finanza si finge prete in un paesino del Trentino. De Sica è il padrone assoluto di una storia insulsa e  piccola di cui non si ricorda quasi niente. Forse per appartenenza ma tra ciò che rimane nella memoria c’è Arisa perché con umiltà si confronta con il suo ruolo, non poteva  fare cose eccezionali e si è  accontentata  di fare poche cose e semplici, nella recitazione senza energia   non sbava e  non cattura più di tanto la cinepresa e l’attenzione del pubblico; nel film che si conclude con un pezzo cantato,  è lei a dare il via alla canzone ed è la sua voce da cantante (il suo mestiere è bene che non lo dimentichi) che primeggia sulle altre nel ritornello: ” Basta un sì per vivere Felici”. E’ un po’ come se il pubblico per Arisa fosse come  un genitore che va alla recita del figlio piccolo e anche dopo una prestazione non certamente esaltante gli lancia qualche caramella.

Sarebbe stata comunque  l’attrice più  ricordata se non ci fossero state :  la bravissima e bellissima Luisa Ranieri, protagonista femminile nella parte del maresciallo dei carabinieri che tutti vorrebbero avere nella propria città,assolutamente di un altro livello attoriale rispetto a tutto il cast ma terribilmente limitata dalla sceneggiatura e  l’affascinante Debora Caprioglio nella parte di una incantevole edicolante che nella realtà risolleverebbe certamente il mercato editoriale.  Se questa storia incoerente e non coesa certamente non ha aiutato Arisa, ha addirittura demolito  Cristian De sica  che esce da questo film come il pubblico esce dalla sala del cinema con animo  impalpabile e con gli occhi al prezzo del biglietto.

domenica 23 dicembre 2012

Intervista: Cristina Donà una voce al femminile

da " Il quotidiano della Basilicata"

Cristina Donà una voce al femminile


di Francesco Altavista



Tito –  E’ un programma interessantissimo  fatto di arte e riflessione quello del festival  “Al femminile” organizzato dalla Regione Basilicata  alla sua seconda edizione distribuito in due giorni.  La  giornata di ieri, al ridotto del teatro “ Stabile “di Potenza  è stata dedicata al tema :  “Donne nella crisi. Là dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva”.  Oggi la giornata più attesa con  la chiusura del festival  attraverso l’arte  al centro per la  creatività “ Cecilia “ di Tito, tutto rigorosamente ad ingresso libero. Si parte con il ballo alle 20 :  la “ Compagnia junior del Balletto Lucano”  con le coreografie di Loredana Calabrese presenta  lo spettacolo “ Centomondi”; alle 20 e 30 sarà il momento del teatro con la presentazione del progetto  teatrale “ Abracadabra. Storia dell’avvenire “ ad opera di Carlotta Vitale  e del progetto “ Scatole . Primo Studio su M.” ad opera di Mimmo Conte entrambi della compagnia “ Gommalacca Teatro”. Il main event del festival si avrà a partire dalle 21 e 30  con il concerto della straordinaria Cristina Donà per la prima volta con la sua musica in Basilicata. L’artista chiuderà proprio a Tito il suo entusiasmante tour  cominciato dopo l’uscita del suo ultimo disco: “ Torno a casa a piedi”.  Le bella Cristina Donà  mostra tutta la sua disponibilità, simpatia e gentilezza in  un’intervista in anteprima per  “ Il quotidiano della Basilicata”.     
Cristina, “Torno a casa a piedi”  è il tuo ultimo disco, uscito nel 2011. Questo “andare a piedi”, indica un tuo amore verso la lentezza e verso  i tempi della bella poesia italiana?
«Sicuramente la poesia ha un tempo di stoccaggio  e di decantazione più lungo rispetto ad altri tipi di scrittura. La poesia poi   nasconde  dei segreti che si svelano piano. Segreti che non si esauriscono  mai. Questi sono dei concetti e delle prerogative  che cerco di applicare alle mie canzoni. L’idea che ci sia sempre  qualcosa di nuovo da scoprire all’interno di un brano che magari si  ascolta tante volte, è una cosa fantastica ed  indica una  lentezza  anche fisica  a cui non siamo più abituati, perché bombardati in continuazione da un mondo veloce. Lentezza e quindi poesia  è anche camminare, un gesto che va riscoperto anche per gustare l’altra metà di noi, l’altra metà dell’essere umano che  è la natura. Questa è una  parte di noi che abbiamo un po’ dimenticato.»



Perché la Basilicata per chiudere il tuo  tour ?  
«Io sono molto contenta  di suonare in Basilicata per tantissimi motivi. Uno  è  certamente legato al fatto che il nostro tecnico di palco, Michele Brienza che  lavora con me ormai da due anni ed è un persona eccezionale a cui voglio un bene enorme ed è un bravissimo tecnico( non ne ho conosciuti nella mia carriera di più bravi),  è di Potenza. Capisci che finire il tour in casa di Michele Brienza mi provoca  una grande emozione. Poi proprio il fatto di non averci mai suonato mi spinge a volerci suonare, un po’ anche per curiosità, per come potrebbe reagire il pubblico. In realtà però sono stata in Basilicata diversi anni fa con un mio amico giornalista. Lui doveva fare un servizio sui pozzi petroliferi  e io mi ero aggregata come fotografa. Abbiamo girato quattro giorni in Val D’agri, a Matera , Maratea e in altri paesi e  mi è piaciuta tantissimo. Ancora oggi porto con me lo stupore  della  varietà dei  paesaggi che ha la Basilicata. Sono poi  felice di esserci per essere stata inserita in un ottimo  programma, quello  del festival  “ Al femminile”.»
Hai detto di ispirarti a Lucio Battisti specie in quest’ultimo lavoro. Questo tuo amore per il pop  pensi che abbia fatto storcere il naso a qualche puritano dell’indie a tutti i costi?
« Io faccio la musica che mi piace, faccio musica che sento e  che penso possa arrivare agli altri  nella maniera migliore. Mi piacerebbe che fosse chiaro che non esiste questa distinzione tra indie e pop. Questa è una dimostrazione di ignoranza musicale mostruosa che io non tollero più ormai da diverso tempo. Negli anni 80 si veniva tutti dal punk. In Italia si conoscevano solo i soliti tre- quattro  accordi ed era facile dire il pop fa schifo, perché non si riusciva a fare.  Anche io all’epoca ero più talebana in questo senso, mi piacevano delle cose che poi ho scoperto  molto limitate a livello musicale.»


I tuoi primi dischi,quelli per la produzione di Manuel Agnelli erano molto  più cupi, più grigi. Oggi specie negli ultimi si assiste ad un’esplosione di colori e di dolcezza, si ascoltano con il sorriso. Ti sei staccata totalmente da quel mondo?
« Un cambiamento notevole c’era già stato al terzo disco, i primi due erano stati prodotti da Manuel Agnelli. Mi avevano affibbiato l’etichetta della “PJ Harvey  italiana” tra l’altro un’artista che amo ma volevo staccarmi per fuggire dal pericolo di dover fare sempre la stessa cosa. Non volevo cementificarmi in uno stile. Quindi già dal secondo album alcuni brani si staccavano dal primigenio sound;  con il terzo ho cercato di aggiungere dei tasselli. In questo ultimo album mi è venuto spontaneo scrivere in un  modo diverso, un po’ credo perché sono diventata mamma, ma più che altro  la  mia volontà era far passare dei messaggi importanti con leggerezza.»
A Tito sarai al “ Festival al femminile” organizzato dalla Regione Basilicata. Quanto è difficile oggi essere cantautrice, madre e moglie?
«L’Italia è  indietro sotto il profilo della libertà femminile. Non è un tipo di libertà palese, è un problema molto sottile che però si mostra nella sua orribile rovina nei  casi di femminicidio e di violenza. In un certo senso questo riflette un momento di instabilità tra l’uomo e la donna:  l’uomo non accetta questa nuova veste femminile:  una donna che è  indipendente, che decide magari di separarsi,  che lavora, che si realizza ed esprime la propria personalità,  una donna, quindi  che conquista le sue libertà. Non esiste in Italia poi  un’integrazione tra la famiglia e il sostegno delle strutture sociali, è difficile essere genitori e madri in questo Paese.  Probabilmente su questa mancanza di libertà ha  influito molto la presenza della chiesa che da sempre vede  la donna relegata in  un certo ruolo. Si deve permettere alle donne di essere madri, mogli e lavoratrici, in estrema libertà non è detto che per realizzarsi si debba  essere tutte e tre le cose. Questo non è un Paese che lo permette e mi fa sempre più schifo.»
Cosa è la Bellezza?
 «Ti rispondo con una frase di una mia canzone: “ la verità e la bellezza non fanno rumore”. E’ un qualcosa di cui non ti accorgi ma che abbiamo bisogno di cercare e  di trovare nelle nostre vite, perché la bellezza  è  il nostro equilibrio.»


Emozioni al buio con Cesare Picco

da "Il quotidiano della Basilicata"

Picco di emozioni al buio



di Francesco Altavista 


Potenza -  E’stato chiaro da subito che sarebbe stato qualcosa di straordinario ed inimitabile. Immediatamente si è avuta la sensazione che dopo  il viaggio che stava per cominciare, nulla sarebbe sembrato uguale; ad accogliere una marea di spettatori è un teatro “ Stabile “ di Potenza in penombra, perfino le luci verdi di segnalazione delle uscite erano coperte da spessi cartoni . Al centro del palcoscenico uno splendido  pianoforte a coda  nero e lucente. Il teatro potentino si riempie,  per “ Cose di teatro e musica “ è un successo di pubblico, la città accoglie lo spettacolo “ Blind Date” di   Cesare Picco a braccia tese verso l’ignoto e con una  curiosità che spalanca il cuore.  Per la prima volta, lo confessa lui stesso, Cesare Picco presenta il suo spettacolo:  prende la parola al centro del proscenio, sembra emozionato di vivere questa esperienza  in un teatro all’italiana anche questa per lui una prima volta e si sa sono queste le cose che non si scordano mai, specie per un artista così sensibile. Il maestro  Picco costruisce la sua musica, tutta completamente improvvisata quasi leggendo nelle emozioni che annegano nella penombra prima e nel buio completo poi, per circa un’ora. La musica del pianoforte suonato con straordinaria passione sfoggia una scintilla d’amore tra le mani del maestro e la tastiera lucida dello strumento che  diffonde un calore strano,avvolgente eppure così delicato e quasi ipnotico. Le luci gradualmente si attenuano fino a  spegnersi totalmente ed è questo il momento  in cui si intraprende un viaggio nei propri ricordi, nelle immagini che in un montaggio pazzo prendono a pugni la memoria.  Al buio si è se stessi, al buio non importa chi si ha di fianco , chi è sul palco, non importa perfino stare seduti sotto il prepotente  loggione dello “Stabile”, come se lo spirito abbandonasse il corpo per viaggiare in ciò che non è o in ciò che non è più.  Si arriva così ad un certo punto dello straordinario concerto a cercare una prova dell’esistenza del proprio corpo: si stringe quello che si può con forza, magari la sedia dove si è seduti, il proprio cappotto o  la locandina che si  arriccia violentemente tra le mani. Si cerca il rassicurante contatto con la carnalità, si scopre il dolore fisico come legame saggio  per non lasciarsi totalmente alla corrente impetuosa della musica, ci si sente come fa una foglia staccata dall’albero e spinta dal vento verso mete ignote. “ Blind Date” diventa quindi un’esperienza  sofferta, paurosa ma bella come non mai. La vista diventa un ostacolo superato dagli altri sensi che si sublimano nel delizioso sapore di libertà.  Cesare Picco mostra al pubblico di Potenza  grazie alla sua musica e a alla  sua passionalità fuori dal comune, un qualcosa di  bellissimo che si materializza luminoso nella parte buia di ognuno, nel buio del teatro,buio nel buio, pezzo per pezzo l’immagine di una bellezza quasi nazarena e divina squarcia lo spazio come se quell’essere che si ha davanti non appartenesse a questo mondo, proprio come la libertà. Cesare Picco alla fine  riporta tutti a casa, il teatro torna piano alla penombra. Il pubblico però   pur  ritrovando alla luce le sue  condizioni normali, porta su di sé la polvere di questo viaggio, segni e solchi  sulla pelle che come cicatrici coveranno indelebili al proprio interno un odore innamorato, il profumo  della libertà. 

Con Chiara Baffi c'è il sole anche quando "Chiove"

da "il quotidiano della Basilicata"


Con Chiara c'è il sole anche quando " Chiove"




di Francesco Altavista


Matera – «Il teatro per me è fondamentale, è un posto in cui io sto a mio agio, mi dà la sensazione che tutto può accadere e nel migliore dei modi, mi sento  protetta dal palcoscenico. Mi piace condividere tutto ciò con il pubblico.» Sentire queste parole dalla profonda e splendida voce, ornata  da sospiri e toni involontari da femme fatale, della bellissima  Chiara Baffi farebbe tremare di emozione chiunque. E’ un’attrice giovane ma pluripremiata e  sarà a Matera in scena il prossimo nove dicembre al Duni ( 17 e 30) con la  pièce “ Chiove” nella parte di Lali, unica donna sul palco insieme a Enrico Ianniello e Carmine Paternoster. Con “ Teatri Uniti” che produce anche questo spettacolo, Chiara gira il mondo, molte volte insieme al suo grande maestro Toni Servillo con il quale continua a collaborare dopo il grandissimo successo de “ La trilogia della villeggiatura” di Carlo Goldoni: tour internazionale di 4 anni con quasi 400 repliche. E’ un’attrice straordinaria oltre che spaventosamente bella, nonostante le prove in teatro e un guasto a casa , ci confessa, al tetto gocciolante di pioggia, si concede per un’intervista esclusiva per “ Il quotidiano della Basilicata”.
Chiara, lei più volte ha dichiarato di dovere molto allo spettacolo “ Chiove”. Perché è così importante per lei?
« E’ nato  un incontro magico tra noi attori in questa pièce. Appena abbiamo iniziato a lavorarci, durante le prove,partendo dallo  studio sul testo, si è creata questa incantevole alchimia. E’ stata così forte che non abbiamo potuto fare altro che  prendere in mano la situazione ed accorgerci di avere una pietra preziosa tra le mani. Il testo poi ha la fortuna di essere scritto in modo incantevole. Lali è  un personaggio che ho amato tantissimo fin dalla prima lettura. Mi ha conquistata completamente, io ho avuto solo il grande piacere e la responsabilità di prendermene cura.  La luce di Lali  mi ha subito entusiasmato e guidata ad affrontare un personaggio certo complicato, una prostituta; io non l’ avevo mai interpretata, mai un personaggio con questa popolarità moderna. Mi ha guidato anche  la scrittura viva e carnale di Mirò, a cui sono immensamente grata.»



 Quando è stato importante per una giovane attrice come lei entrare nella grande realtà di “ Teatri uniti” di Napoli?
«E’ stato fondamentale. Prima di tutto perché era il mio più grande desiderio ed è stato esaudito. Per me è stato molto importante perché mi ha permesso di lavorare con Toni Servillo che è una persona che stimo enormemente: un attore straordinario ed un regista meraviglioso. Vivere con lui  “ La trilogia della villeggiatura” è stata un’esperienza unica che mi ha insegnato moltissimo. Con Toni Servillo non avevo il ruolo da protagonista come in “ Chiove”  ma riuscivo tutti i giorni, grazie alla sua grandezza, a vivere questo rapporto con il personaggio, a nutrirlo, a divertimi  e scoprire sempre nuove cose ad ogni replica.»
Lei è una figlia d’arte,suo padre Giulio Baffi è un famoso critico teatrale ed ha diretto addirittura il  “San Ferdinando”. Quanto è stata colpita dallo stereotipo della “bella attrice raccomandata”?
 «Non mi ha dato molto fastidio, nel senso che  non ho dovuto farci i conti poi troppo. Fortunatamente ho costruito la mia carriera pian piano, partendo da piccolissime  parti e partecipazioni a spettacoli; ho studiato il più possibile nei modi che ritenevo opportuni, sono entrata in questo mondo  in punta di piedi. Poi pian piano ho preso sempre più spazio lì dove potevo, dove mi è sembrato giusto farlo e mi è stata data opportunità di farlo. Ogni tanto vengono fuori queste voci  fastidiose, ma cerco di combatterle con i fatti  con il mio lavoro, la mia dedizione, la mia professionalità, con la mia attenzione e cuore che metto in questo lavoro. L’essere sua figlia mi ha agevolato nel senso che il teatro nella mia famiglia era pane quotidiano:  andavo tutti i giorni in teatro ed ad un certo punto non ho potuto fare a meno di desiderarlo e nel momento in cui  ho messo piede sul palcoscenico, ho capito che non avrei potuto più farne a meno.»



Lei è cresciuta respirando l’aria del teatro di Eduardo il “ San Ferdinando”. Cosa ha significato questo quando ha dovuto recitare  nella versione di “Napoli Milionaria” con Luca Defilippo per la regia di Rosi?      
  «Al “San Ferdinando” mi sento a casa ed amo Eduardo particolarmente. In “ Napoli Milionaria “ ho interpretato Maria Rosaria ed è stato bello anche  perché avevo un regista straordinario come Francesco Rosi che l’ha inventata insieme a me. Ricordo molto bene come Rosi mi ha guidato alla conoscenza del personaggio e di quel mondo. Ho avuto la possibilità di vedere la mia amata Napoli in un’altra epoca e l’ho scoperta insieme a Rosi. Quest’ultimo  un uomo generoso, coltissimo, a cui piace molto raccontare e donare i sui ricordi, la sua storia  e i suoi  aneddoti. Ogni momento in quelle  prove è stato veramente importante.»
Oltre a “ Chiove” con quale opera la vedremo prossimamente sui palcoscenici?
«Io continuerò a fare “ Chiove” per un paio di mesi. Successivamente a fine gennaio inizio le prove con Toni Servillo con “ Le voci di dentro”, in cui lui è regista e protagonista.  Non vedo l’ora. Ho già l’acquolina in bocca. Aspetto questo  nuovo incontro con Servillo e contemporaneamente con Defilippo, davvero sento già  il profumino.»
Cosa è la Bellezza?
 «La Bellezza è un qualcosa da cercare, scoprire, onorare e prendersi cura, da non dimenticare e di cui nutrirsi.»

Teatri Uniti, intervista Andrea Renzi

da "Il quotidiano della Basilicata"

Magic People show con Andrea Renzi



di Francesco Altavista


Matera – « Leo de Berardinis, una volta mi disse:  ricordati che le vie del teatro sono infinite. Non ho mai dimenticato questa massima. Un misto di ironia e saggezza. In teatro mai precludersi delle possibilità e mai tracciare  confini troppo rigidi.” E’ un ricordo  che  il  grande attore Andrea Renzi colonna portante  del famoso  gruppo teatrale napoletano “ Teatri Uniti”, regala a “ Il quotidiano della Basilicata” insieme ad un’intervista. Quest’ultima concessa in anteprima rispetto  all’incontro di sabato mattina con Angelo Curti presidente  di “ Teatri Uniti” alle  ore 12 presso la “Boutique” di Anna Tota ( in questa occasione saranno presentati la trilogia di “Teatri Uniti”  e il progetto “Retrovisioni Teatrali”)  e ai due spettacoli della sezione “ Napoli a Matera” della “rassegna teatrale 2012-2013”  entrambi realizzati e prodotti da  “ Teatri Uniti” ,  in scena al teatro “Duni” : “ Magic People Show”,  l’8 dicembre alle 21  pièce che  vedrà Renzi  nel cast degli attori e “ Chiove “ il 9 dicembre alle 17:30. 
Maestro, “Magic People Show” è il primo spettacolo di una trilogia messa in scena proprio per festeggiare  i 25 anni di “ Teatri Uniti”. Come nacque questo spettacolo ?
« Nacque dall’incontro felice con lo scrittore Giuseppe Montesano. Abbiamo verificato in una lettura pubblica del suo libro come questo condominio napoletano, raccontato nell’opera, fosse costruito soprattutto sulle voci:  non ci sono nel testo letterario descrizioni degli ambienti e dei personaggi, tutto prende vita da dialoghi e quindi il testo aveva un  grande senso teatrale. Abbiamo avuto poi  accesso a tutti i materiali editi e inediti di  questo lavoro e da questo  è partita la parte di cui indegnamente ci siamo presi la responsabilità, cioè la messa in scena teatrale.»
In questa pièce si parla dell’involgarimento della società a favore del  consumo. Non è imputabile solo alla  Televisione ma comunque questo mezzo è una cattiva maestra come diceva Popper . A questo proposito perché un attore del suo livello, un attore di teatro si è sporcato di televisione?
«Diciamo che per me è stata un’esperienza che fino ad un certo punto del mio percorso non ho voluto fare. Quando però  mi sono sentito sicuro fino in fondo dei miei mezzi e con una storia sufficientemente forte alle spalle  per poter affrontare anche un genere popolare come la televisione,  mi ci sono misurato. E’ stata un’esperienza lavorativa molto divertente che mi ha arricchito moltissimo;  intanto perché  mi ha fatto incontrare con un tipo di spettatore che ahimè, non frequenta i teatri e questo è stato un incontro proficuo. Un misurarmi che  mi ha anche aiutato a scendere un po’ dal piedistallo della cultura. In passato avevo peccato un po’ di superbia;  nel mio percorso un pizzico di snobismo c’era e invece non esiste motivo per precludersi l’incontro con un prodotto più popolare. Tanto più che io credo siano universi paralleli. Le  cose più  interessanti sono quelle che riescono ad abbattere gli steccati. “Distretto di Polizia “ è un prodotto televisivo che ha avuto tra i suoi sostenitori  anche Moretti ed  Eco, è riuscito quindi  ad abbattere degli steccati. Non bisogna vergognarsi mai di lavorare, il lavoro ha una sua dimensione materiale ed artigianale. Io sono convinto che il mio sia un lavoro più che d’artista, da artigiano.»
Torniamo al teatro. Lei ha lavorato con tutti i registi fondatori di “ Teatri Uniti”, come si può sintetizzare il senso e la missione di questo gruppo?
«Festeggiamo il 25esimo anno e quindi siamo pieni di orgoglio e soddisfazione, ma sappiamo anche riconoscere delle fasi molto diverse del nostro lavoro. Credo che il nostro nome resti legato alla fase della fondazione:  è stato un momento in cui abbiamo proposto, partendo dalla concretezza del lavoro nella nostra città Napoli, una casa in cui si potevano incontrare registi , attori, musicisti provenienti da percorsi diversi. Questo resta secondo me tutt'oggi il paradigma più significativo del lavoro di “ Teatri Uniti”.»


Un incontro, grazie agli organizzatori della rassegna c’è anche tra Napoli e Matera. La Città dei Sassi cosa può imparare idealmente, nell’ottica di capitale europea della cultura da Napoli?
«A Matera sono stato diverse volte e sono contento di ritornarci con “ Magic People” e con “ Teatri Uniti “. So di questa candidatura e sarebbe secondo me interessante che intorno a Matera si raccogliessero le forze migliori di tutto il sud dell’ Italia. Sarebbe un segnale potente  per il nostro “Mezzogiorno”. Purtroppo il nostro Paese ancora non ha messo a fuoco quali possibilità e prospettive si aprono nel momento in cui si dovesse riuscire a rilanciare con forza quella che è da sempre la caratteristica dell’Italia: essere il paese della bellezza. Io credo che non è un caso che “ Teatri Uniti” sia nato a Napoli, è una città d’incontro, di porto, attraversata da dominazioni geograficamente lontane tra di loro, è una città di contaminazioni. Matera che è proprio geograficamente così diversa, città dell’entroterra con una cultura misteriosa che ha affascinato perfino chi  ha letto i nostri anni come Pasolini, potrebbe prendere da Napoli questo senso dell’apertura e della contaminazione, quella propria di una città martoriata ma pur sempre una grande  capitale del mediterraneo.»
Lei ha recitato registi, promesse del cinema italiano.  Si può pensare che come ha fatto Martone,  un giorno lei lasci il teatro e “ Teatri Uniti”  per il cinema?
«Mi è capitato di rimanere lontano dal palcoscenico per quasi due anni, spero non mi ricapiti più. Non riesco a farne a meno. Mi piace dedicarmi al teatro anche in regia quindi non solo recitando. Sono un artigiano teatrale e  nessun artigiano lascia la sua disciplina per troppo tempo. Io delle volte penso ad un attore supremo come Marcello Mastroianni,  si è formato nel teatro ed ha voluto prima di lasciarci, tornare al palcoscenico teatrale. Noi abbiamo la  straordinaria possibilità di vivere le emozioni del nostro campo, cioè il palcoscenico e quando si provano, rinunciarvi è difficile.»
Cosa è la Bellezza?
«La Bellezza è la vita. Spero di essermela cavata.»

Nannipieri nella città dei senza nome

da "Il quotidiano della Basilicata"

Nannipieri nella città dei senza nome

di Francesco Altavista 



Potenza –  Luca Nannipieri è un uomo di cultura, un opinionista, saggista, scrittore e critico d’arte  di fama nazionale che non ha certo paura di dire quello che pensa. Interessanti sono le sue intuizioni su come interpretare la cultura e la sua crisi e su come parlare di arte in una visione inedita e meno d’èlite. Oggi alle 19 e 30 parte il suo tour di presentazione della sua ultima fatica “ La cattedrale d’Europa” e parte proprio da Matera dalla “ Parrocchia Santa Famiglia”. Domani alle 18 e 30 al Palazzo dell’Annunziata presenterà il libro in un incontro dal titolo “ Beni culturali e futuro del paese con  :  Don David Mannarella (delegato per i beni culturali ecclesiastici della Diocesi di Matera),  Paolo Tritto (redattore del periodico diocesano LOGOS), Nunzio  Lionetti (curatore dell'iniziativa e presidente dell'ass. "Umana  Dimora Basilicata") e Marco Pelosi (responsabile Cooperativa "Oltre l'Arte"). Concluderà il suo breve tour materano sabato 15 per le scuole al teatro “ Duni” : dalle 9 e 30 per il Liceo Classico e dalle 11 per L’istituto tecnico industriale “Pentasuglia”. In anteprima Luca Nannipieri si concede ad un’intervista sul suo lavoro e su Matera  per “ Il quotidiano della Basilicata”.       
Nel suo libro “ La cattedrale d’Europa”,  la riflessione parte dalla  “ Sagrada Famìlia” di Barcellona. In che modo  questa cattedrale diventa il principio della sua intuizione?
«La “Sagrada Famìlia” è l’esempio massimo di quanto possono fare le comunità, le associazioni  e le libere aggregazioni di persone intorno ad un territorio. C’è una grandissima chiesa, costruita non perché un pontefice, un imperatore, un potente , un faraone l’ha voluta. All’inizio era una piccola associazione di devoti di San Giuseppe. Dopo un primo architetto che fece un disegno che non piacque, arrivò Gaudì. Da allora si innescò una spirale di condivisione, di partecipazione, di emozione collettiva che faceva sì che la “Sagrada Famìlia “ proseguisse  grazie alle  libere donazioni delle persone. Non stiamo parlando di principi o di re ma di persone comuni che misero insieme le proprie forze e con il genio di Gaudì innalzarono una delle più grandi cattedrali d’Europa, tutt’ora in costruzione ma il cui disegno originale è un qualcosa che non ha paragoni.»
La condivisione, la partecipazione e l’arte che viene dal popolo  sono temi di tanti sui articoli e libri. A che punto della sua personale battaglia  arriva “ La cattedrale d’Europa“?
«Arriva ad in un  momento critico. Io giro tutt’Italia per dibattiti e conferenze, vedo tutte queste comunità e associazioni che lavorano attorno al patrimonio storico artistico, a cui ho dedicato il libro precedente “ La Bellezza inutile”. Vedo che sono tutte comunità ed associazioni chiuse in sé stesse, tutte forse incapaci di fare forza aggregandosi tra di loro. Allora ho voluto, di fronte ad uno scenario così difficile, dare un esempio massimo e  inaudito:  come in un altro periodo della storia si è costruita una grandissima cattedrale nonostante ci fosse la guerra e  una dittatura, cioè   momenti drammatici difficilissimi. Vorrei che questo  fosse da sprono per tutte queste comunità e comitati volontari che incontro.»
Ha voluto partire da Matera per il suo tour di presentazione. Questa città come si colloca nel suo ragionamento sull’arte ?
«Matera è la città per eccellenza che rappresenta la mia situazione. Un luogo non costruito da un grandissimo artista, ma realizzato in generazioni di persone che hanno modellato il loro essere cittadini erigendo quell’esempio di bellezza urbana che tutti ammirano nel mondo.Questa città poi ha una densità di patrimonio artistico che è impareggiabile, fin ora ahimè poco valorizzato, se si pensa all’annosa questione del Duomo di Matera chiuso. Quello è un mio motivo di rimpianto.»



A proposito di rimpianti e di valorizzazioni mancate. Cosa manca a  Matera per diventare una città della cultura?
«Innanzitutto la mentalità chiarissima che un Duomo non può restare chiuso. La cattedrale di una città non può essere chiusa. Se i ragazzi crescendo considerano il maggior punto focale di una città chiuso, a quei ragazzi manca qualcosa. E’ chiaro che per essere capitale del cultura e non solo del patrimonio storico- artistico occorre diventare una fucina di produzione culturale  moderna. Questo significa essere capitale della cultura, altrimenti sei capitale del patrimonio artistico. Per esempio  Pompei è capitale del patrimonio archeologico ma non può certo  diventare capitale della cultura.» 
Tra i punti a favore però Matera ha certamente quella che lei definisce arte collettiva – aggiungo- degli sconfitti. Potrebbe essere un fascino unico da cui partire per credere  in questa candidatura?
 «La Bellezza collettiva è pur sempre la bellezza di chi non ha nome, di chi non ha avuto peso  nel corso dei secoli. Di chi alla regie non ha potuto contrapporre una bellezza altrettanto fulgida ma appunto si è dovuto ritrarre in costruzioni più dimesse, più espugnabili. Matera è sicuramente la città per eccellenza dei senza nome. Matera non si lega ad un nome fortissimo della cultura, ma come città dei senza nome è  regina assoluta. Matera è già capitale del patrimonio storico- artistico può diventare capitale della cultura,  per adesso però  mi rimane difficile pensarlo. Quante persone dalla Toscana, dal Lazio, dalla Lombardia vengono a lavorare a Matera, ci sono quelle ossigenazioni che fanno sì che una persona da fuori venga a lavorare  nella città dei Sassi?»
In un suo interessantissimo  articolo lei spiega che riavviare la cultura non è una questione di fondi, anzi nella sua provocazione lei chiede di togliere i fondi parlando del procurare un infarto alla cultura. Perché una idea così forte per riavviare il mondo dell’arte e della cultura?
«Le politiche culturali oggi in Italia si indirizzano soltanto ad uno strettissimo target di persone. Bisogna creare un infarto alla cultura perché non respira, perché questa cultura qui butta fuori i giovani.. Tanti soldi ai teatri per vedere i cartelloni che sono uguali in tutta l’Italia, con i soliti nomi noti come:  Proietti, Albertazzi. Mostri sacri certo,  ma poi uno che ha trent'anni dove li trova i soldi per sperimentare e per costruire. Nelle primarie del PD sia Bersani che Renzi non hanno detto parola  sulla cultura e non parlo si Berlusconi. Solo Vendola  ma poi è stato scartato. Credo che la Puglia sia diventata un grande laboratorio  dopo la sua presidenza, però non è stato accettato. La cultura ha bisogno di una scossa. Non c’è sperimentazione, non c’è l’avanguardia, non c’è rabbia né grinta.»
Come continuerà la sua battaglia verso un’arte di popolo che possa salvaguardare la ricerca e la sperimentazione?
«Sia in scrittura che in azione. Nell'azione vorrei federare tutte queste associazioni e comitati che incontro in giro per l’Italia, chiuse in sé stesse per unirle affinché la loro voce sia più forte. Continuerò a scrivere libri per questa battaglia:  l’Italia da salvare che non è quella dei monumenti ma delle persone che danno vita a questi monumenti. Continuerò a  dare spazio a chi non ha un nome  famoso, a quelle persone non titolate che fanno cultura come per esempio maestre di piccole comunità.»
Cosa è la Bellezza?
 «La Bellezza è uno dei più grandi  misteri che si annidino negli occhi e davanti agli occhi degli uomini. La Bellezza mostra all’uomo, essere finito, il fatto di essere “quasi nulla” come diceva Leopardi. La Bellezza consegna la  consapevolezza  del  “ quasi nulla”. Credo sia  un’ottima riflessione sulla bellezza:  La bellezza salva l’uomo  dalla finitezza  con quel “ quasi”.»