mercoledì 28 dicembre 2011

Dente un "concentrato di emozioni"

da " Il quotidiano della Basilicata"


Un " concentrato" di emozioni



di Francesco Altavista



Tito – “La lingua batte dove dente duole” e Dente duole molto. Giuseppe Preveri  in arte Dente  in un auditorium “Cecilia” di Tito che fa registrare il tutto esaurito è un groviglio di sensazioni che vanno dalla repulsione allo spasmo corporeo,interrotti da un  solo sollievo :la durata dello spettacolo poco più di un’ora, per venti pezzi in scaletta . La grandezza di questo artista probabilmente sta proprio nella brevità. E’ l’eroe dell’involgarimento dell’ascolto, sembra essere uscito dalla matita di Matt Groening e non perché i quattro membri della band sul palcoscenico sembrano la copia scaduta di una boy band anni 60, ma perché la misura illimitata di questo concerto sta nelle dimensioni e nel senso di una risata di Krusty il clown. Dente sembra essersi svegliato dal sonno, poco prima di arrivare al “Cecilia” di  Tito, alle undici meno un quarto circa: le parole, quelle che si distinguono dai mugugni, arrivano quasi stroncate: parte con “Piccolo destino ridicolo”, “ Saldati” e “ La settimana enigmatica” tutti eseguiti in circa dieci minuti con pressoché gli stessi accordi, costruiti con violenza dallo stesso Dente su una chitarra che si duole vivamente. Un’aureola di sconforto circonda l’aria intorno alla band formata da : Andrea Cipelli alle tastiere, Nicola Faimali al basso e Gianluca Gambini alla batteria  che sembrano tutti insofferenti, angosciati, pirandelliani nella loro incomunicabilità. Le poche parole dette da Dente al pubblico sono perfino più banali delle metafore che usa nei pezzi, non fa niente per fare spettacolo, è disimpegnato, capriccioso, scontroso anche se cerca di risultare simpatico. Eppure Dente riesce a far cantare le sue canzoni, specie alle ragazzine davanti al palcoscenico che intonano con lui quasi tutti i pezzi in scaletta. Gli occhi di quelle ragazze  si fanno trasportare dal cantante , quei sorrisi  fanno in ogni caso fiorire la carne, trasformando la platea in un qualcosa di sempre più bello e luminoso, qualcuno  si diverte in quella “spoetica” brevità. Dente è come il bambino che alla cena  di Natale sale sulla sedia e mastica parole in rima per guadagnarsi l’apprezzamento di parenti e genitori. Ma c’è anche chi , nella cena natalizia viene disturbato dalla poesia, perché gli spaghetti alle vongole si freddano.” A me piace lei”, “ Casa Tua”, “ Da Varese a quel paese”, “Giudizio uni versatile”  è la scialba filastrocca che gela animo e fa pensare agli spaghetti lasciati a casa. Solo nel finale la scaletta diventa più dinamica con “Buon Appetito”, “ L’amore non è un’opinione”  e le ultime del bis “Beato me ” ( inserita tra l’altro nell’album -raccolta indie “ Il paese e reale “)  e “Vieni a vivere”.Si può apprezzare una angustia inflessibile e una complessità mediocre, il resto da dimenticare in fretta prima che quei maledetti ritornelli bisillabi o in  rima  entrino in testa per  ritrovarsi poi a casa a canticchiare :“cadi giù dal letto badabum , mi tieni forte e poi non ti muovi, chiudi gli occhi e non ti vedo più “  . Ma forse è già  troppo tardi , non è servita la buona birra venduta dagli organizzatori all’ingresso dell’auditorium.

Dente tra di noi :Intervista esclusiva

da " Il quotidiano della Basilicata"

  
Dente "tra di noi" con il nuovo tour 






di Francesco Altavista


Tito –La musica indipendente è arrivata all’auditorium “ Cecilia- centro della creatività “ di Tito, con il concerto di Santo Stefano per opera di Giuseppe Peveri, in arte Dente con il tour “ Io tra di noi” succeduto  all’omonimo lavoro discografico .  Ad organizzate il concerto l’associazione “ Generazione zero” con “Amnesiac Art “, Multietnica”  e con il patrocinio della “Città di Tito “. Dente è considerato  dai più generosi il nuovo Lucio Battisti ma è comunque anche ad essere cattivi una delle realtà cantautorati nuove più importanti in termini di pubblico. Prima del concerto l’artista di Fidenza nato nel 1976  si concede per una breve intervista per “ Il quotidiano della Basilicata”. 
Giuseppe, “Io tra noi” arriva ad appena due anni dal successo di “ L’amore non è bello”. Come è cresciuto il tuo modo di fare musica?
 Nella scrittura credo di aver aggiunto poco o niente, nel senso che la trovo sempre abbastanza mia, in conseguenza a quello che ho fatto. Ho aggiunto tecnicamente alcune cose, strumenti che non ho mai usato, tipo degli archi e anche una produzione artistica che non ho mai avuto. Il disco è nato quando avuto abbastanza tempo per farlo. Ho scelto alcune canzoni che avevo scritto, perché mi sembravano che stessero bene insieme, tutto abbastanza naturale.
In questo disco hai collaborato con due membri dei “Calibro 35”, due polistrumentisti importanti nell’ambiente . Cosa ci puoi raccontare di questa esperienza e come hai mantenuto la tua essenzialità?
Abbiamo scelto insieme al produttore chi doveva arrangiare alcuni pezzi e la novità degli archi è stata accompagnata dalla novità di Massimo Martellotta ad arrangiare questa sezione, ha fatto davvero un ottimo lavoro. Gabrielli invece aveva già lavorato con me anche altre volte e sono andato sul sicuro. L’essenzialità  è stato l’obiettivo che ci eravamo dati. L’abbiamo preso in pieno secondo me, quello di mantenere la personalità, lo stile pur aggiungendo novità.
Sei un cultore della parola nei tuoi pezzi. Cosa è per te la parola e cosa significa scrivere in rima, rischiando la banalità?
Sono stato sempre affascinato dal buon uso della parola e anche dalla sua attrazione, è una delle particolarità che mi colpisce della lingua italiana, cioè quello di esprimere concetti magari ampi con pochissime parole. Una sorta di sfida a togliere sempre di più e di dare una forma gradevole. L’unica cosa a cui penso è quella di scrivere cose che mi piacciono di non inserire parole che non gradisco.
La figura della donna compare in tutti i tuoi pezzi. Come parli della figura femminile ?Parli spessi di Irene, è la tua Beatrice, la tua Silvia, la tua Laura?
Questa è dura. Non so in realtà. Quando scrivo penso ad una persona specifica, nella mia testa c’è quello, poi gli altri ci vedono quello che vogliono. Non amo neanche troppo raccontare se non nelle canzoni appunto. Mi piace che siano mie senza bisogno di altre parole. Diciamo che Irene è la persona in assoluto su cui ho scritto di più.
Molto spesso sei accostato a Lucio Battisti ma non troppo tempo fa hai risposto a Mogol, dicendo che la canzone non è poesia, allora cos’è?
La canzone è una canzone e la poesia è una poesia. Mi fa un po’ sorridere quando chiamano uno che scrive canzoni,  poeta. Poeta è un’altra cosa, sono cose semplicemente diverse. Non c’è ne una più altra dell’altra, ti può emozionare una canzone di più di una poesia e viceversa.
 Ami fare spesso anche il dj con musiche degli anni 60. Cosa apprezzi così tanto di quella musica?
Di quella musica sono affascinato dal suo gusto eterno, sono musiche senza tempo. Si può fare un dj set nel 2011 con canzoni degli anni 60, è una grande forza di questi pezzi. In realtà oggi la sfida veramente grande e fare canzoni senza tempo.
Sei considerato uno dei massimi esponenti della musica indipendente. Oggi, con al crisi del mercato discografico, ha ancora senso parlare di musica indipendente e di major?
E’ senza senso effettivamente. Ha senso solo nella forma, ma in effetti siamo praticamente nelle classifiche insieme a quelli che sono con le major. Facciamo pressappoco gli stessi numeri e quindi ha davvero poco senso questa divisione. Io sto anche un po’ cercando di lottare, di toglierla definitivamente questa divisione, cosa che in altri paesi è successa ormai da tempo.
Sei all’inizio della tua carriera e sei molto apprezzato. Esiste secondo te un punto di arrivo?
Non punto a niente. Io vado avanti. Vorrei avere solo la possibilità di scrivere delle canzoni non ho obiettivi né di vendite né di pubblico. A me basta andare avanti come sto facendo, pian pianino, se la cosa riesce , va bene se no, va bene comunque.
Stai facendo un tour importante, c’è il tempo per fare progetti sul prossimo futuro?
 Adesso ho in mente il tour perché è abbastanza sfiancante quindi ho poco tempo per fare altro. L’unico progetto a cui stiamo lavorando è riuscire a fare concerti all’estero. Per adesso solo live.
Cosa è la Bellezza?
Per me la Bellezza è una cosa a cui personalmente non riesco a rinunciare, ed è una delle cose più piacevoli della vita.





mercoledì 21 dicembre 2011

Emozionanti storie di donne in gabbia

da " Il quotidiano della Basilicata"

Emozionanti storie di donne in gabbia 

di Francesco Altavista


Potenza – “Interno, esterno di un giorno blindato;di vivo  qui dentro neppure il tempo, un grumo di giorni scontati”. Uno spettacolo violento, triste, drammatico che prende a pugni fin dal primo minuto di due ore circa, compresa la pausa tra primo e secondo atto, di spettacolo. Il primo appuntamento della sezione “ Ripensamenti” della rassegna teatrale “ Voglia di teatro – teatri in rete” di martedì sera con la piecè “ Giorni Scontati” ,  è stato un rinchiudersi in gabbia, un mostrarsi di paure, un continuo riflettere sulla valenza di una forma detentiva e sulla  colpa, perché nel mondo che accettiamo ci sono i  colpevoli e gli  innocenti, ma nella realtà che più si avvicina alla relatività della vita, la colpa diventata di tutti mentre il concetto  di innocenza, quella delle persone fuori, diventa sempre più  struttura pericolante. L’ambiente forse intimo e raccolto del favoloso teatro Stabile di Potenza aiuta le straordinarie attrici in scena a dare vita alle incredibili emozioni che trasudano da un testo scritto davvero bene.  Il carcere potrebbe essere quello che l’antropologo francese Marc Augé  definiva un “ Non luogo”, ma sarebbe ancora troppo sintetico.  Certo è un luogo senza storia ma pieno di storie, dove le persone sono in transito ma in questa permanenza precaria si ha un mutamento quasi kafkiano dell’io che si unisce all’altro.  Un “ Non luogo” dove le bellissime Antonella Fattori, Daniela Scarlatti, Giusi Frallonardo e Lia Zinno con il loro personaggi, prende una forma viva sulle tavole che spiega, entusiasma, fa ridere , fa immedesimare e capire  molto di più del breve convegno che ha anticipato lo spettacolo alle 18:00. Il carcere è figlio del potere e delle regole, ma tra vita e regole per ogni anima c’è un incendio. Un fuoco freddo che comunque brucia come le parole di un   testo spettacolare: perché le donne hanno tante anime, ogni cellula femminile ha una visione unica  ed indecifrabile se non con la metafora artistica. Quattro le donne in scena, ma migliaia le emozioni , le visioni, le anime che si intersecano in un mondo quello della detenzione femminile di cui si parla  poco.  Rosa è il personaggio di Lia Zinno che con accento partenopeo  fa scattare la risata nel pubblico  che fa un po’ da carezza mentre la pièce continua violentemente a cercare sangue.  Ma come gli altri è un personaggio in evoluzione, è la donna madre in cinta che nel finale diventa rabbiosa, il suo grido di dolore per un figlio precedentemente perso scava negli occhi alla ricerca disperata di lacrime. Il “ non luogo” si impregna  di sentimento, con il personaggio di Lucia interpretato da Giusi Frallonardo. Lei accusata di omicidio è forse l’unica maschera di speranza , è lei che alla fine chiede la grazia, perché davvero provata dalla brutalità che attacca un cuore dolce. Fantastico il simbolo costruito con la carta da Lucia, gli “Inseparabili”  di cartone, una drammatica esplosione di sentimento, di due animali che vivono sempre insieme anche loro in gabbia, impossibilitati a vivere divisi. Grandissime Antonella Fattori nei panni di Maria Pia la  più comune tra le maschere e dell’austera Viviana che in una prima parte da carnefice diventa vittima, per poi abbandonare vita e carcere su una citazione  artistica di incredibile valore, sulle voce trasmessa alla radio di Dalidà. Uno spettacolo che ti fa entrare in carcere con le protagoniste, asciuga le lacrime e solca lo spirito lasciando un seme di riflessione sullo straordinario essere che è la  donna e sul carcere.  

La pescespada e il clandestino, intervista a Laura Masielli

da " Il quotidiano della Basilicata"

La Pescespada, il clandestino e Laura 

di Francesco Altavista



Roma – Una storia che diventa il non luogo di uno scontro tra fantasia e realtà, è l’ultimo lavoro della scrittrice Laura Masielli dal titolo :Il Pescespada, il clandestino”. L’opera nata come racconto sarà messa in scena, dall’associazione “ I 7 Raccogli Fiabe” questa sera, al “Cinema Palazzo” nel quartiere San Lorenzo a Roma. In anteprima l’autrice  di origini pugliesi Laura Masielli  si intrattiene con “ Il quotidiano della Basilicata” per un’
intervista.
Prima di cominciare l’intervista le chiedo una battuta sul suo amore per la 

Basilicata…
 
Io ho scoperto la Basilicata da non molto tempo, sono venuta una prima volta l’
anno scorso. Non immaginavo che mi piacesse così tanto, che mi piacesse San  Fele così tanto. Io abito in campagna sono appassionata, mi piace isolarmi.   Avevo sentito parlare delle dolomiti lucane e della Basilicata ma non ci avevo  mai messo piede pur avendo origini pugliesi. Quando sono giunta per la prima 
volta in Basilicata sono rimasta senza parole, l’ho trovata spettacolare. 
Questo paese in cima al picco della montagna dal quale si domina la vallate che  sembra un mare, è qualcosa di unico.  Ho pensato di prendere casa, un rudere a 
San Fele  che costa anche pochissimo. 

Questa sera il debutto del suo spettacolo: “ La pescespada, il clandestino”.
  Tutto nasce come al solito da un suo racconto. A quali emozioni si è ispirata  per realizzare quest’opera?
Io sono abbastanza emotiva di mio e questo un po’ mi fa gioco nel momento in 
cui scrivo, io non ho fatto altro che raccontare quello che percepisco.  Muoiono  ragazzi, donne bambini nel attraversare questo maledetto mar di  Sicilia, cercando una libertà; una possibilità di ricostruire un destino, di  riscattare una vita che certamente non è facile. Cambiare il proprio destino è 
la lotta vera che ha l’uomo durante il percorso della sua vita, non se ne rende 
conto ma la grande sfida che ha l’essere umano è il cambiamento. Noi italiani  sapendo che questo è il nostro mare, sapendo che la popolazione di Lampedusa è  anche accogliente non lì abbiamo mai ricordati, mai commemorati, mai l’onore 
della morte. Ho avuto la necessità di comunicarlo, è nato  per dare una 
giornata, un nome , a questi giovani e donne che sono senza patria, in fondo al  mare, in un non luogo. E’ una storia fiabesca ma molto reale.
Cosa può anticipare  della messa in scena di questo racconto?

C’è la sagoma di un barcone che sa di lercio, di muffa che si avventura in 
mare; c’è questo ragazzo che sta con le braccia attaccato al bordo della nave e  cerca di intravedere l’orizzonte, la terra. C’è il coro, formato dai  benpensanti, dai comuni mortali che, ad un certo punto, mostrano la loro  disapprovazione verso i migranti.  Il fatto che questi benpensanti sperano che 
questa gente non arrivi a riva, che sperano in un brutto sogno, non è un’offesa 
ai lampedusani che sono accoglienti ma la storia è contraddizione, io con  coraggio ho dato parola a questi borghesi che stano sulla roccaforte della loro  sola e dicono queste cose perché non sanno come aiutare.  C’è  poi la figura 
di una donna,  colei che tiene i fili della storia dell’incontro tra questa 
Pescespada che sta per morire, perché vittima delle spadare e questo  clandestino che si è gettato in mare per raccogliere le monetine scintillanti   che poi alla fine erano illusioni, non erano altro che il suo popolo che lo  richiamava a sé, nel fondo del mare. Di fatti il palcoscenico si divide in due  piani: sopra  gli uomini con la pesca illegale e il barcone, sotto i pesci, il 
non luogo. 

Nella prefazione c’è una poesia molto bella che poi è anche nel racconto del
  ragazzo che si abbandona al mare. Quale è il rapporto del suo racconto con la  poesia?
La poesia per me è l’elemento trainante delle mie storie. Dalla poesia non si 
può prescindere, è il ritmo della nostra vita.  Quando il clandestino accetta  la morte dopo il dialogo con la Pescespada che racchiude tutte le figure  femminili, lascia questo testamento, questa poesia. Voleva lasciare qualcosa.  La Pescespada nella sua irrazionalità aveva lasciato le uova, da qualche parte  che poi il pesce maschio andrà a fecondare. Lui cosa lascia che non ha niente ?  Non rimarrà praticamente nulla nella storia.
Il suo racconto è uno scontro tra fantasia e realtà che fa nascere delle
  contraddizioni vere. Ricorda un po’ il grande Kafka e il suo assurdo. L’assurdo 
spiega la realtà nel suo scrivere, si è ispirata ai racconti kafkiani ?
  Sì! Sono dei classici che mi appartengono che mi hanno accompagnato in questi anni. Io trovo che nell’assurdo e nel caos ci sia l’unica spiegazione  possibile di tante cose che appartengono alla realtà, nella quale alla fine si  è distratti. Il fatto di aver fatto questa associazione che si chiama “ I raccogli fiabe” è proprio la sintesi di questo concetto dell’assurdo. I  Raccogli fiabe sono quelli che vanno in giro a piedi più che in macchina, vanno 
in giro la notte per vedere la realtà, difficile da accettare e la trasformano 
in fiabe. Per cui, quando si entra in contatto con la scrittura e la visione, si può anche scegliere che quella realtà esista veramente come raccontata. E’  uno sradicamento difficile da accettare perché abbiamo tutto per poter stare 
meglio ma stiamo sempre peggio.

Nella sua opera tra le tante c’è una trasformazione, un terribile paradosso.
  In che momento il viaggio di libertà  diventa una prigione ?
Per questi ragazzi rimanere in patria significa morire, mettersi in viaggio 
significa avere un’illusione di speranza. Approdare ad una terra dovrebbe  essere liberazione e rinnovamento, molto spesso sanno che non è così. E’ come  se iniziassero una trama di un viaggio del falso, in un  rapporto  mendace  con  al realtà, diventa quindi anche questa una meschina prigione. Io non voglio 
dire che non esiste speranza, ma c’è per  pochi allo stato attuale. 

Tra i protagonisti della pièce c’è sicuramente il mediterraneo. Dai racconti
 
di Omero questo mare è cambiato molto, cosa è diventato?

Lo ha già detto una giornalista, Laura Sirignano che lo ha definito una bara 
liquida. Ci saranno duemila morti  nel mediterraneo ma solo di questi ultimi  anni. Il mediterraneo è una culla di culture ha una storia unica ma  se  pensiamo cosa siamo riusciti a fare sia dal punto di vista della salute ma  anche dal far crescere le culture, capiamo che è un’altra di quelle cose che  solo l’uomo riesce a distruggere. 
Il progresso, la voglia di cambiare il proprio destino  fa venire in mente   
  Giovanni Verga con “ I Malavoglia” e il  ciclo dei vinti. Per lei cosa è il progresso ?
Dovremmo essere più critici verso il progresso come lo intendiamo noi, se 
intendiamo l’effetto finale. Noi essere umani abbiamo bisogno di poco per  portare avanti la nostra vita però il capitalismo cammina proprio su questa  creazione di falsi bisogni dell’uomo, fa marciare un’economia, questo è un  fatto meccanico. Il pensiero del progresso però è l’istinto naturale dell’uomo  a migliorare la propria vita guardando altrove e non importa se va bene o va 
male.  Le devo dire questa cosa importante: noi facciamo lo spettacolo al “
Cinema palazzo”. Pochi giorni fa quando stavamo vedendo di sistemare le ultime  cose della giornata di domenica dedicata al migrante, sono venuti a mettere dei 
sigilli a questo luogo all’interno del centro storico di San Lorenzo. Vogliono 
farci un bingo, ma lei si rende conto!  Poi sono intervenuti Dario Fo, la  Guzzanti, Veltroni  li hanno tolti. Questi volevamo farci un bingo, è  incredibile , in un luogo splendido. Siamo alla follia.  
Il suo prossimo libro? 
Sto scrivendo una storia sulla dentiera, è un omaggio a Marco Ferreri, ad un film stupendo che si intitolava “ La casa del sorriso” , un film sugli anziani, sull’amore che può nascere alla terza età e sul sorriso. 
Cosa è la Bellezza?
La Bellezza è un’illusione, una delle tante che circolano nell’area. Ognuno si fa interprete di questa astrazione.

Nell'inferno della famiglia tradizionale, intervista Aldo Cassano

da  "Il quotidiano della Basilicata"

Con la compagnia " Animanera" nell'inferno della famiglia 

di Francesco Altavista

Matera – Il significato particolare e la grandezza culturale  della sezione “ Milano a Matera” della rassegna teatrale  2011-2012 di Matera , potrebbe essere riassunto dallo spettacolo che sarà messo in scena questa sera a partire dalle 21:00 al teatro Comunale. Ci sono già stati spettacoli  di grande valore  arrivati al teatro materano ma  la compagnia “ Animanera”  per la prima volta  sarà in un teatro sotto il Po. Rappresenterà sulle meridionali tavole materane , “ Fine Famiglia- una commedia nera dall’inferno di una famiglia”. E’ un’opera, scritta dalla giovane  Magdalena Barile,  molto interessante che farà certamente ridere ma lascerà alla fine dei graffi che romperanno la tradizione, specie in un pubblico del sud notoriamente legato alla famiglia.. La regia dello spettacolo è affidata al giovane  Aldo  Cassano che in anteprima si concede ad un’intervista a “ Il quotidiano della Basilicata”.   
Aldo, quale è la sua visione da regista di un’opera considerata “nera” scritta da Magdalena Barile?
In questo spettacolo si svelano tutti i meccanismi tipici che tengono unite le famiglie di tradizione italiana con tutte le sue contraddizioni e si tenta anche qui di dare una soluzione. La classica famiglia di quattro persone decide durate il rito natalizio di comune accordo di separarsi per sempre. Nell’arco della serata succederà di tutto, vedremo se riusciranno a separarsi.
 Lo stile di “ Animanera” è davvero molto particolare nel suo mettere in scena contraddizioni sociali. Che tipo di regia ci si deve aspettare per questo spettacolo?
 Diciamo che abbiamo cercato di lavorare sulle caratterizzazione tipiche degli archetipi: la madre, il padre, il figlio e la sorella. La madre super affettiva  cerca di tenere insieme la famiglia con degli espedienti, fa una  torta che scandisce il tempo dello spettacolo. Il padre con il suo bagaglio di responsabilità, con i soldi pensa di aver esaurito i suoi compiti e poi le perversioni sessuali del figlio e la figlia con le crisi di autolesionismo. Sono state usate delle geometrie in questa casa gabbia, quindi tutti i movimenti sono studiati quasi in una partitura fisica, quasi coreograficamente, tutto scandito da suoni come se ci fosse un televisore acceso che accompagna la giornata della famiglia.
Mettete in crisi il concetto di famiglia tradizionale. Certo al sud il valore famiglia è più sentito che al nord. Cosa vi aspettate da un pubblico, per la prima volta nella vostra carriera del sud, di Matera?
Siamo curiosissimi di sapere come  prenderà il pubblico questa pièce. Immagino comunque che ci sia un’identificazione, io sono il regista e sono del sud e alcuni attori sono meridionali. La famiglia tradizionale al sud è molto radicata, sono convinto che alcuni stereotipi, molte dinamiche verranno riconosciute fortemente. Io vorrei toccare nel profondo, se pur con molta ironia.
Perché c’è incomunicabilità nella famiglia tradizionale e perché fallisce?
Si rimane legati a dei modelli che non sono al corso con i tempi. Ci sono ricatti affettivi. La maggior parte degli avvenimenti violenti avviene in famiglia, è inutile negare che il problema esista.. Il numero dei divorzi aumenta, le famiglie allargante sono all’ordine del giorno, l’idea di avere un partner tutta la vita è sempre di più vissuto come soffocante, i dettami della chiesa sono sempre meno unificanti. Sono tanti i motivi. Si modifica tutto, si modifica la famiglia anche se difficile da accettare. Il modello tradizionale è finito. E’ inutile arroccarsi, ci sono altre esigenze.
Il lavoro di “ Animanera” si è sempre mosso nella sperimentazione. Cosa vuol dire sperimentare in teatro oggi?  Questa commedia è un po’ uno spartiacque nella tradizione popolare italiana?
Sperimentazione è cercare modelli nuovi, linguaggi nuovi, sempre partendo dalla padronanza di tutti i codici anche quelli tradizionali della storia del teatro. Non mi prederei l’onere  e l’onore di fare da spartiacque, diciamo che abbiamo cercato di vedere la commedia con un piccolo assetto nuovo ed originale, direi quasi che è un ritorno perché con questa nuova sperimentazione si è diventati più freddi, estetici, distanti e noi siamo tornati al pubblico. E’ un modo di coniugare la modernità alla tradizione.
 Una “ Natale in casa Cupiello “ in chiave moderna?
 Sì, esatto. Si potrebbe dire anche così. Anche quella era una famiglia in crisi.
  Aldilà del concetto famiglia che si avvicina un po’ alla concezione pirandelliana. Come da questo conflitto di contraddizione esce fuori l’io?
  Vengono un po’ analizzate le personalità dei componenti, c’è un discorso psicoanalitico sui desideri, le paure che muovono i personaggi nelle relazioni. Per esempio: la mamma ha un bisogno di amore per gli altri o la volontà di legare le persone a sé, per manovrare i propri geni?
E il sentimento d’amore cosa diventa?   
L’amore  esce sempre un po’ come una specie di salvezza dall’alienazione e dall’isolamento, quasi come fosse una soddisfazione di un bisogno. Quasi come un calmare le paure. In questa visione è un po’ così.
Cosa è la Bellezza?
La Bellezza è l’inconsapevolezza delle cose belle che si espongono senza immaginare che possano provocare un sentimento. 




Intervista Antonella Fattori in Giorni scontati


 da "Il quotidiano della Basilicata"
" Giorni scontati" di vite dietro le sbarre


 di Francesco Altavista


Potenza –  Questa sera al teatro “ F. Stabile “ di Potenza, con sipario alle 21:00,  ci sarà il primo appuntamento della sezione speciale “ Ri-pensamenti” della rassegna teatrale “ Voglia di teatro-teatri in rete”.  “ Giorni scontati” è  lo spettacolo che sarà messo in scena ad inaugurare questa sezione, quest’anno dedicata dagli organizzatori di “ Cose di teatro e musica” alle donne.  “Giorni scontati”  che sarà preceduto da un dibattito alle 18:00 dal titolo “ Redenzione e rieducazione” è  uno spettacolo  e un testo davvero interessante scritto da due autrici esordienti ma attrici di fama : Daniela Scarlatti e Antonella Fattori che sono venute in contato artistico attraverso incontri e seminari al carcere di “Rebibbia” con la detenzione al femminile. Quest’ultime  sono anche tra le protagoniste della pièce insieme a Giusi Frallonardo e Lia Zinna, con la regia di Luca De Bei. La bellissima Antonella Fattori che con questo spettacolo torna al teatro carica di  successi televisivi e cinematografici, si concede per un’intervista a “ Il quotidiano della Basilicata”. 
La colpa, la detenzione e la voglia di cambiamento, sono tre temi forti di “ Giorni Scontati” Come è riuscita  a scrivere con Daniela Scarlatti, uno spettacolo che mettesse insieme questi fantasmi ?
Ci siamo   soffermate  sulle emozioni, le sensazioni , i dolori ma anche le gioie che queste quattro donne in convivenza forzata provano. Portano momenti di ilarità, momenti drammatici, momenti difficili, momenti di solidarietà  succeduti naturalmente a delle colpe, ognuna diversa dall’altra, in donne in tutto diverse tra di loro.  Sono costrette alla convivenza e da qui nascono tutte le contraddizioni della costrizione.
 Cosa è significato per lei interpretare un mondo così forte e oscuro?
E’ stata un’esperienza che  ha lasciato in noi  un segno indelebile per tutta la vita. Esperienze che rimarranno nei nostri cuori, perchè sono donne che vivendo delle situazioni difficili hanno anche una grande umanità. Alcune hanno la voglia di cambiare, altre probabilmente non ci riusciranno  però sono esperienze che segnano in maniera profonda. Quando si va in carcere si prende la cosiddetta “carcerite”: rimane questo grande sentimento di  solidarietà e pietà per queste donne.
Sono tutte donne in scena, è uno spettacolo al femminile. Quale è il carattere di femminilità di una donna in carcere?
 Per le donne in carcere   le cose fondamentali  sono i figli, l’amore e l’omosessualità. Si parla di figli, di mariti o compagni e l’omosessualità che noi raccontiamo poco ma nelle carceri c’è molto perchè chiaramente  l’unico rapporto che puoi avere per tanti anni è quello con le tue colleghe detenute. E’ stato importante per noi aver  carpito l’essenza di queste donne.
In questo spettacolo lei interpreta Maria Pia, in carcere per un reato finanziario.  Da cosa nasce questo personaggio?
Questo spettacolo nasce dopo tangentopoli, quando anche  persone comuni si ritrovavano in carcere per tangenti. Abbiamo voluto raccontare e mostrare che chiunque può andare in carcere per un errore. Ci piaceva raccontare  non solo ladre, assassine   ma anche una persona nella quale il pubblico si potesse più facilmente immedesimare. Infatti chi viene  a vedere lo spettacolo capisce subito che Maria Pia  che è un’imprenditrice  edile che ha sbagliato, è il personaggio più simile a loro. E’ l’elemento più comune  rispetto agli altri personaggi che sono più borderline.
Volendo fare una forzatura si può dire  che il suo ritorno al teatro  dove  il pubblico si sente respirare,  è un’uscita dal carcere televisivo, dove recita anche chi non è attore?
Sono  due cose totalmente diverse: la televisione diciamo che mi ha dato la popolarità. Il teatro ti dà emozione. Lo spettacolo lo fai tu insieme al pubblico ed ogni volta è sempre diverso. In televisione non senti il pubblico non lo senti vibrare, soffrire, sorridere insieme a te. Il teatro mi è mancato molto e me ne sono accorta adesso, tornandoci.
Cosa ha significato per lei frequentare l’accademia di teatro “ Silvio d’amico”?
Sono stati gli anni più belli della mia vita. Io avevo insegnati  di tutto rispetto, da Ronconi,  a seminari con la Vitti con Moschin. Ho avuto anche Andrea Camilleri che ci faceva la regia televisiva. Con questa scuola si entra in questo mondo dalla porta principale. La “ Silvio d’amico” è la scuola storicamente più importante d’Italia, dalla quale escono ancora oggi grandi attori. Ci sono anche altre scuole qualificate, certo il fascino e la magia della “ Silvio d’amico” sono inimitabili.
Cosa è la Bellezza?
La Bellezza è una luce abbagliante.    
                

lunedì 21 novembre 2011

Marinai,profeti e balene con Capitan Vinicio

da " Il quotidiano della Basilicata"


In 470 dispersi nel mare di Vinicio
foto Annalisa Mancini

di Francesco Altavista 

Potenza – Capitano che tu sia maledetto!  Capitan Vinicio è l’unico alla fine di quasi tre ore di spettacolo a raggiungere la terra ferma, l’unico a poter baciare il palcoscenico come fosse Itaca , terra natia per Ulisse ma anche prigione. Maledetto perché il resto del suo equipaggio, circa  quattrocentosettanta persone, venerdì sera  nell’auditorium del conservatorio Gesualdo da Venosa di Potenza,  non sono tornate a casa: il loro io continua a sbattere sulle pareti dell’essere. Tutti dispersi nel mare di Capitan Vinicio, un oceano sconosciuto perché intimo  e oscuro.  Che nell’aria ci fosse un’atmosfera frizzante e tesa   lo si capisce da subito, quando mentre il maestro Capossela si intratteneva in un lunghissimo sound cheek, scatta un’emergenza: un manifesto dello spettacolo “ Marinai, profeti e balene”  era  stato attaccato all’ingresso della sala con un vistoso e pacchiano nastro adesivo nero, anziché un elegante e invisibile  biadesivo ed è stato necessario il celere e  provvidenziale l’intervento dello staff nordico del cantautore. Aldilà dei capricci dell’entourage “caposseliano”,il pubblico  subito si accalca mettendo il crisi le povere hostess che in sala sono le prime a perdersi. Un marinaio canterino  vende il giornale di brodo, a tre dobloni, tre euro nel mondo normale. Nel frattempo il lamento di “Moby Dick “ prende vita dalla casse  e  fa da colonna sonora alle chiacchiere pre -spettacolo. C’è chi chiama i propri pareti lontani, chi i propri amici rimasti a casa, tutti intenti a dimostrare la loro presenza ad un evento straordinario. La nave parte alle nove e mezza circa da Potenza, il Capitano è l’ultimo a salire sull’imbarcazione , formata da movibili ossa bianche che diventano ora un’arca,  ora la carcassa della balena e al centro un pianoforte a coda che diventa il timone. Per circa tre ore il cantautore e la sua ciurma  che brandisce con la confusione e la precisione di un equipaggio in mare aperto   qualsiasi tipo di strumento ed oggetto viaggia   tra la nebbia e l’oscurità che abbraccia la sala. Si parte con “ Il Grande Leviatano”, subito nella grande oscurità biblico dell’animo umano mentre il Capitano in mano ha il lume di Hobbes e allora la grande bestia diventa preda, perché l’uomo non vuole essere ingoiato. Capitan Vinicio da buon lestofante prepara la sua trappola alla sala strapiena che ad ogni pezzo fa partire il suo applauso scrosciante. Convince il pubblico che non vale la pena restare sulla terra  ferma e li trascina  con il dogma “noi vogliamo del Rum, date un bicchiere di Rum” nel suo “ Oceano Oilàlà”.In uno spettacolo incredibile di luci, musica e racconto  il pubblico, ormai già perso e traballante tra le onde, incontra parte di sé in ognuno dei personaggi che capitano Vinicio presenta. Si parte con l’impiccagione di “ Billy Bud” presente in catene sul palcoscenico e che si muove al ritmo del blues duro. In questo mare e con questa arca che accoglie  tutti quelli che Noè per volere divino non ha potuto imbarcare, non esiste l’errore, o meglio quest’ultimo diventa la caratteristica dell’umano e quindi inevitabile, si parla di “ Lord Jim”, l’eroe che incontra il suo errore, come Adamo ed Eva che mangiarono il frutto della conoscenza e per questo reietti. Vinicio con le sue metafore imbriglia chi ascolta, mentre lui si trasforma  insieme alle sue coriste. L’essere mutevole capitan Vinicio diventa Achab e la sua gamba di legno risuona nella testa di chi assiste, perchè il bianco diventa il colore da battere, l’assenza di colore è il male.” Il bianco della Balena “  introdotto  dallo strepitoso coro femminile è il colpo di grazia a qualsiasi consapevolezza terrena. Le suggestioni di “I  fuochi fatui” e “ Goliath” introducono l’ennesima trasformazione: il capitano scende sempre di più nell’animo, diventa “ Il polpo d’amor” ,  con una metafora  da fenomenologia dello spirito: “otto braccia e può solo abbracciare solo se stesso” .La costruzione  metaforica costruita intorno  all’essere continua con  “ Pryntyl”, la sirena da “Night Club” mantenendo un legame con l’attimo del presente nel mondo reale. Il capitano con l’otre di Aglianico fa ubriacare il “ Vinocolo” e poi la magia di Circe che trasforma tutti in porci, lui compreso,  sulle note di una straordinaria versione del “ Ballo di San Vito”.” Calipsco” e “ Le pleiadi” costruiscono la strada per raggiungere l’indovino Tiresia  e poi “ Nostos”  e “ Santissima dei Naufragati” portano l’arca di capitan Vinicio sulla terra ferma. Qui raccoglie quello che c’è, fa provvista e fa alzare il pubblico con “ L’uomo vivo”, “Oceano oi là là” e “ Corvo Torvo” che spiega, mentre il rapace nero svolazza sul palcoscenico , al pubblico dove era finito il corvo di Noé: secondo Vinicio  si è fermato in Basilicata. Richiamato dal pubblico, arriva la faccia romantica del capitano che rafforza  al pubblico la finzione della terra ferma. E’ il tempo di un’incredibile  “ Con una rosa” che introduce ad una jam session con Rocco Spagnoletta e Antonio Bucaletto di Pignola membri del gruppo “ Musicamanovella” , cantano insieme una lucana ed esilarante  “ L’usignolo “. Che cos’è l’amor” fa ballare e alzare il pubblico, prima della festa con  “Al veglione”. Richiamato per la terza volta, il capitano regala al pianoforte  “ Le sirene “ dopo aver recitato alcuni versi del poeta compianto Francesco Albano. Si accendono le luci e il confine tra immaginario e reale sembra scomparso, la mente continua a viaggiare sul mare del capitano e il sentimento del naufrago abbandonato  si trasforma  in un’irrefrenabile voglia di un bicchiere di Rhum, bevuto magari alla salute del capitano.      

venerdì 11 novembre 2011

"Italia, la mia Africa " di Mvula Sungani con Emanuela Bianchini

 da "Il quotidiano della Basilicata"

Con Emanuela come in Paradiso


di Francesco Altavista



Potenza- Sembra di essere in Paradiso e non per l’altissima  percentuale di donne che in uno strano lunedì  sera  quasi riempiono il teatro Don Bosco di Potenza per il primo spettacolo della rassegna “ Teatri in rete- voglia di teatro” ;  e nemmeno per gli splendidi occhi dell’etoile Emanuela Bianchini anche se meriterebbero un romanzo cantato e in rima  per quello che raccontano se solo si riuscisse a fermare il battito fremente del cuore alla loro vista. E’ un Paradiso perché la scelta degli organizzatori di “ Cose di teatro e Musica” di cominciare con “ Italia, la mia Africa” spettacolo di danza, musica e teatro della compagnia di Mvula Sungani, è stato come un segno divino del grande bisogno di arte, ben interpretato, che sente questa terra. Un paradiso perché le coreografie del maestro Sungani sono delle sculture di carne viva e di sangue  e con il rischio di essere blasfemi, superano i limiti della creazione dell’umano, arrivando a toccare, attraverso la danza  le teorizzazioni teatrali e le visioni della biomeccanica umana di Vsevolod Mejerchol'd, l’allievo dissidente di Stanislavskij. Tanta fisicità, tanta arte riempiono i cuori degli spettatori che dopo un’ora circa di spettacolo si lasciano andare a quasi cinque minuti di applausi ininterrotti “L’Italia, la mia Africa” che con la serata di Potenza comincia la sua tournèe invernale,  supera persino i preconcetti legati alla danza,  rompono con una fisicità estrema i perbenismi e insegnano alle tante ragazzine presenti provenienti dai centri di danza del capoluogo lucano, cosa è in realtà la danza: il mondo meraviglioso che cresce fuori e  i tanti sacrifici che invece ci sono dietro nascosti dalla bellezza dei loro movimenti. Alessia Giustolisi, Ilaria Ostili,Maria Izzo, Chiara Grella, Florida Uliano, Damiana Crescenzi e Antonio Sardella  sono davvero dei corpi in evoluzione che disegnano simboli e scrivono  nell’aria parole che non raccontano ma  emozionano. Poco invece il recitato  a cui è affidata la storia, una serie semplici  eventi che raccontano una vita quella di Sungani  nato in Italia da padre africano. Sul palcoscenico si assiste all’amore, all’abbandono, alle speranze, ad una ricerca che si esaurisce alla fine nell’accettare l’Italia come sua Africa. Ed ecco che come avviene nel mediterraneo tutto si contamina ma non si confonde, la differenziazione di culture e solo un modo per unirsi,è solo un modo per creare una nuova identità  multiforme e multicolore. Come d’altra parte la musica che dall’elettronica, passa alla musica popolare eseguita dal vivo: con l’utilizzo di chitarra e Loop- station  nelle mani del maestro Riccardo Medile; con  le tamorre del gradissimo Nando Citarella anche cantante e arrangiatore dei pezzi , senza dimenticare la voce straordinaria di Gabriella Aiello. Citarella  che ha incontrato Sungani nella giornata per Caruso, si dimostra un mago con le sue tamorre,  i ritmi popolari che si sporcano di terra e che seguono il ritmo dei cuori .  Sullo sfondo la danza  e  in quel tripudio di arte, la protagonista la bellissima Emanuela Bianchini si muove  come se ogni cellula del suo corpo fosse legata alle molecole dell’aria, correggendo quasi in modo trascendentale lo spartito divino del mondo. “Tanto sangue per dare forma  alla Bellezza”  ci spiega Sungani prima dello spettacolo. Infatti  è come se nella pièce il sangue, il corpo, la carne viva nutrisse la bellezza, trascinando tutti nell’altrove che poi risulta più vicino di quello che si pensi. Lo spettacolo infatti  non si allontana mai troppo dalla terra e  si conclude con una pizzica che richiama la magia della terra del sud, nella quale gli angeli sul palco si trasformano in avvenenti ninfe che carezzano  la coscienza e consentono al pubblico dei più sensibili di innamorarsi carnalmente dell’arte. Una scelta felice ed entusiasmante  per gli appassionati di  “ Cose di teatro e musica”  che promettono   la miglior rassegna degli ultimi cinque anni.

lunedì 31 ottobre 2011

" Battito stabile" nuovo album dei Babalù

da "Il quotidiano della Basilicata"

Battito Stabile per i Babalù
 di Francesco Altavista 

Potenza – “ Svegliatev’ ca è tard’ guagliù, è arrivat’ Babalù ( Svegliatevi che è tardi ragazzi, è arrivato Babalù)”;   così comincia il primo album della band potentina Babalù  dal titolo “ Battito Stabile”, prodotto da Nello Giudice per l’etichetta “ Officina Recording studio” di Potenza, in uscita in tutt’Italia il 31 ottobre prossimo, distribuito da Egea; la presentazione ufficiale a Roma il prossimo 17 novembre e poi nei maggior megastore della penisola. In effetti ascoltare questo disco è come svegliarsi da un letargo profondo. Dopo il primo ascolto, sarà per le contaminazioni dialettali del “napotentino”, sarà per il mastering effettuato allo Sterling studio di New York da Greg Calbi in persona ma subito   viene da dire: “ finalmente qualcosa di nuovo  nella terra della minestra riscaldata”. Eppure  questo lavoro che mette insieme diversi ritmi dalla musica israeliana, alla reggae, all’Hip Hop  fino al popolare, risulta legato alla terra lucana e al sud in modo profondo tanto da scende  in un pozzo multietnico che diventa una porta nel cielo del mondo, restando legato, per paura di cadere, con una corda spessa alle proprie tradizioni. “ Battito stabile “ è un album apparentemente facile da ascoltare ma che nasconde molte insidie intellettuali  da capire e scoprire: dietro ogni pezzo c’è una storia. I Babalù scrivono con consapevolezza del mondo, guardano negli angoli bui, quelli che i primi della classe con capiscono e non vedono.  Il senso di questo lavoro discografico si mostra subito per quello che è , non si nasconde, non si mostra saccente e non vuole dare lezioni, pur strattonando le idee perbeniste della differenza, partendo da una logica più meticcia. I testi e le musiche scritte dai due frontman Gianluca Sanza e Mariano Caiano, polistrumentista il primo( chitarra battente, chitarra acustica, mandola e Basso) e  percussionista il secondo,  hanno il sapore del nuovo mentre  si lega alle anime come qualcosa da sempre conosciuto che poi nel bel mezzo di una storia di  vita si perde di vista e non si ritrova più. La pubblicazione di questo album  arriva dopo circa tre anni di lavoro, poi l’anno scorso la vittoria con “Mio fratello è Pakistano” del premio miglior testo al prestigiosissimo festival “Musicultura” a Macerata, un pezzo piaciuto tantissimo in particolar modo al presentatore della serata finale Fabrizio Frizzi che a quanto sembra ha manifestato la sua volontà di mettere il pezzo anche come suoneria al suo cellulare personale. “Mio fratello è Pakistano” arriva solo alla seconda traccia nell’album  preceduto dal pezzo che introduce il pensiero del gruppo e che porta il nome della band “ Babalù” nel quale fa la sua incursione il primo ospite con il suo dialetto bernaldese , Big Simone dei “Krikka reggae “.  La terra rossa d’Africa è il tema principale della grafica curata da Mimmo Greco anche regista del video di “ Mio fratello è Pakistano”, ma è solo la copertina del disco, un tessuto suggestivo pieno di trame nel quale dire tanto altro.  Le tre voci dei cantanti Sanza , Caiano e la voce femminile  di Viviana Fatigante, i suoni di Luca De Laurentiis alla chitarra elettrica , Antonello Ruggiero alla batteria e Paola Calbi ai tamburelli   sono incredibilmente intrappolati l’uno nell’altro  ed insieme esprimono  un’energia pura e vera sin dal primo pezzo. “ I Babalù sono capaci di fondere cura e competenza, ai suoni delle radici” scrive il grande Renzo Arbore nella piccola prefazione al disco. Al terzo brano arriva l’unico pezzo più strettamente popolare, dove le esperienze con “I Tarantolati di Tricarico “ di Sanza e Fatigante  prendono il sopravvento. Ma il pezzo non parla retoricamente,si riflette  su carcere  e libertà, un pezzo di un’eleganza peculiare pur rispettando i rudi suoni del sud con i tamburelli di Paola Calbi. Poi arrivano i suoni  di “ Munn” unico pezzo non scritto dai Babalù ma dal regista  Rocco Messina che porta l’ascoltatore nella realtà più becera  sfidandolo al cambiamento   con un ritornello che prende subito spazio con” Vogli ,nu munn fatt p’è criatur”. Al quinto pezzo arriva “ La strega” pezzo suggestivo   di danza e  magia, ispirato come  spiega Gianluca Sanza  a  Maria Anna Nolè danzatrice popolare del gruppo “ Iatrida”e corista in alcuni pezzi dell’album . Arriva poi “ Piglia Tiempo” , “ L’Africa Dentro” e “ Malaluna” che richiamano ancora alla riflessione sull’Africa, sui derelitti, barboni  confinati nell’oscurità  e al bisogno di fermarsi e pensare nell’alienazione della modernità . “ La serpe “    precede la Title Track, “Battito Stabile” nata da una costola di “ Mare e sole” .Quest’ultima è cantata insieme Shaone del gruppo hip hop napoletano “ La Famiglia”. Alla fine il disco regala una versione  dub di “ Piglia tiempo”, come bonus track. "Un disco da ascoltare se non altro per curiosità “ ci spiega Sanza.Naturalmente questo lavoro è da ascoltare per tanti altri motivi ma il desiderio di conoscere un qualcosa di nuovo nato nella terra della polvere deve per forza interessare anche i critici più austeri e gli ascoltatori più superficiali.


sabato 29 ottobre 2011

Intervista ad Ernesto Mahieux


da "Il quotidiano della Basilicata"

La domenica notte di Ernesto Mahieux



di Francesco Altavista 


Bernalda – Sono finite lo scorso otto ottobre le riprese del primo lungometraggio del talentuoso regista di Bernalda,  Giuseppe Marco Albano. “ Una domenica notte” questo il titolo del film, girato interamente in Basilicata. Nel cast un attore d’eccezione, la vera raffinatezza del film, il grande Ernesto Mahieux. L’attore partenopeo con una carriera lunghissima sia in cinema,che in teatro e in televisione in questo periodo sta preparando gli stage di 15 giorni per attori professionisti a Napoli,girando un film in Calabria con Maria Grazia Cucinotta, preparando la tournée teatrale con lo spettacolo “ Gomorra” e accingendosi alle riprese della fiction “ Squadra anti Mafia” , in tutto questo il grandioso Mahieux si concede per un’intervista per “Il quotidiano della Basilicata”.   
Maestro, dall’alto della sua favolosa e lunga esperienza, cinema e teatro con Pupella Maggio, Giannini, Tato Russo,Merola,Nino D’angelo, Garrone, Ettore Scola, Marco Risi, Mastroianni, Jack Lemmon  e tanti altri, come è arrivato in Basilicata  e in  un’ottica di pubblico importante  come le è sembrata la sceneggiatura del film?
La sceneggiatura  mi è piaciuta. Io non conoscevo per mia ignoranza né Albano né il corto che ha avuto le nomination ai David di Donatello. Lui mi ha contatto su facebook, chiedendomi di partecipare al suo lungometraggio e mi ha mandato la sceneggiatura, a questo punto io dopo aver attentamente letto la sceneggiatura, gli ho detto di contattare la mia agenzia. Diciamo che si erano create tutte le premesse perchè io non partecipassi al film, poi grazie ad una serie di coincidenze e io credo nel destino, sono riuscito con gran piacere a partecipare a questo film e ne sono contento. Marco Albano  è un ragazzo molto umile che sa quel che vuole, fa delle immagini molto belle e credo che farà molto parlare di sé nei prossimi anni.
Cosa ci può dire del personaggio che ha interpretato nel film di Marco Giuseppe Albano, “ Una domenica notte”?
Il mio personaggio diciamo che è molto all’avanguardia, nel senso che è un personaggio  di oggi: il solito produttore cinematografico  che praticamente capisce poco e niente di cinema. Conosce un regista alla sua prima esperienza e gli promette di produrre il suo film. Questo personaggio pero è soprattutto un puttaniere, quindi siamo in linea con dei protagonisti della cronaca giornaliera. Un uomo che quando vede una donna non capisce più niente, risultando schiavo di ciò che c’è sotto la cintura.
Perché un attore di così grande valore come lei, accetta spesso di lavorare con giovani più o meno conosciuti e comunque alla prima esperienza?          
Io nei giovani riscontro sempre qualcosa di nuovo. Mi piace lavorare con loro perché  non sono uno che vuole invecchiare. Bisogna aiutare i giovani, dare dei consigli ma sempre tra pari. Inoltre io imparo più dai giovani che dai vecchi .Se poi tu non ascolti i giovani non puoi poi avere per esempio la fortuna di scoprire uno come Matteo Garrone oppure Zampaglione o lo stesso Papasso non giovanissimo ma alla sua prima esperienza, bisogna dare la possibilità ai giovani di mostrare il loro talento. Noi dobbiamo  aiutarli affinché loro creino condizioni di vita migliori di quelle che la mia generazione e qualche altra prima hanno consegnato a loro, quindi largo ai giovani.
Un episodio particolare della sua carriera  forse segna una sorta di sparti acque. Le chiedo è vero il litigio con Giancarlo Giannini ai tempi di “ Terno secco”?
Ho litigato con lui perché vedeva in me sin dal 1985 un attore cinematografico. All’epoca lavoravo in teatro con la straordinaria Pupella Maggio. Per giare il film con Giannini partivo alle sei da Napoli però esigevo di tornare alle quattro e mezza di pomeriggio per fare le prove a teatro, perché nel teatro puoi assentarti  solo se sei morto. Ad un certo punto Giannini esasperato si arrabbiò e mi disse “ Mi hai rotto, vai a fare il teatro e farai la fame per tutta la vita,tu sei nato per il cinema, stronzo”. Poi quando ho vinto il David, Giannini era seduto vicino a me e mi disse: “ Stronzo, hai visto che avevo ragione”.
Prendendo come esempio i personaggi interpretati e soprattutto il personaggio di Peppino Profeta ne “ L’imbalsamatore”, viene da pensare che lei interpreta principalmente personaggi “cattivi”o che comunque hanno una personalità molto oscura e particolare. Come mai?
Io amo i personaggi  lontani dalla mia realtà, perché così posso divertirmi a crearli. Pensa che io inizialmente avevo rifiutato la proposta di Garrone, perché Peppino Profeta in un certo senso spoetizzava il mio recitare. Poi ho capito che la bravura dell’attore sta proprio in questo, scavare in se stessi e contemporaneamente nel personaggio. Cerco di mettere sempre un po’ di cuore in questi personaggi :come per l’oscurità del  portiere del film di Zampaglione, così per Peppino Profeta che alla fine conquista le simpatie del pubblico. Pensa che questo film ha vinto in Belgio un festival del cinema d’amore, perché quello di Peppino è un amore puro.
Lei è considerato un grande maestro, sia di teatro che di cinema e televisione, ma non ha mai frequentato accademie, si è formato per strada . Quale riflessione si può fare sulle accademie e quando ci si può considerare attori?
  Sono abbastanza contrario alle scuole di teatro, perché vedi , io considero queste scuole come delle banche. Se tu porti un capitale , loro riescono a farlo fruttare  e ti fanno diventare ricco d’arte. Se però tu porti un capitale zero, non si possono fare miracoli. Se ci sono banche o  scuole che promettono questo sono degli imbroglioni.. Devi sapere che la malattia la conosce solo l’ammalato. Il medico può chiedere e darti una cura, ma i sintomi, il sentirsi una patologia lo sa solo l’ammalato. L’attore deve sentire una vocazione, fare l’attore è una missione e ti confesso una cosa, se io avessi avuto un solo dissenso nel mio recitare, io avrei lasciato il giorno dopo.
Concludiamo. Per lei cos’è la Bellezza?
Si potrebbe rispondere con na banalità, ma non lo è. Non è un qualcosa che deve essere riconi scuto dalle masse, ma dall’uomo in quanto singolo, in quanto animo singolo.