Un " concentrato" di emozioni
di Francesco Altavista
Tito – “La lingua
batte dove dente duole” e Dente duole molto. Giuseppe Preveri in arte Dente
in un auditorium “Cecilia” di Tito che fa registrare il tutto esaurito è
un groviglio di sensazioni che vanno dalla repulsione allo spasmo corporeo,interrotti
da un solo sollievo :la durata dello
spettacolo poco più di un’ora, per venti pezzi in scaletta . La grandezza di
questo artista probabilmente sta proprio nella brevità. E’ l’eroe dell’involgarimento
dell’ascolto, sembra essere uscito dalla matita di Matt Groening e non perché i
quattro membri della band sul palcoscenico sembrano la copia scaduta di una boy
band anni 60, ma perché la misura illimitata di questo concerto sta nelle dimensioni
e nel senso di una risata di Krusty il clown. Dente sembra essersi svegliato dal sonno, poco prima di
arrivare al “Cecilia” di Tito, alle
undici meno un quarto circa: le parole, quelle che si distinguono dai mugugni,
arrivano quasi stroncate: parte con “Piccolo destino ridicolo”, “ Saldati” e “
La settimana enigmatica” tutti eseguiti in circa dieci minuti con pressoché gli
stessi accordi, costruiti con violenza dallo stesso Dente su una chitarra che
si duole vivamente. Un’aureola di sconforto circonda l’aria intorno alla band
formata da : Andrea Cipelli alle tastiere, Nicola Faimali al basso e Gianluca
Gambini alla batteria che sembrano tutti
insofferenti, angosciati, pirandelliani nella loro incomunicabilità. Le poche
parole dette da Dente al pubblico sono perfino più banali delle metafore che
usa nei pezzi, non fa niente per fare spettacolo, è disimpegnato, capriccioso,
scontroso anche se cerca di risultare simpatico. Eppure Dente riesce a far
cantare le sue canzoni, specie alle ragazzine davanti al palcoscenico che
intonano con lui quasi tutti i pezzi in scaletta. Gli occhi di quelle ragazze si fanno trasportare dal cantante , quei
sorrisi fanno in ogni caso fiorire la
carne, trasformando la platea in un qualcosa di sempre più bello e luminoso,
qualcuno si diverte in quella “spoetica”
brevità. Dente è come il bambino che alla cena
di Natale sale sulla sedia e mastica parole in rima per guadagnarsi l’apprezzamento
di parenti e genitori. Ma c’è anche chi , nella cena natalizia viene disturbato
dalla poesia, perché gli spaghetti alle vongole si freddano.” A me piace lei”,
“ Casa Tua”, “ Da Varese a quel paese”, “Giudizio uni versatile” è la scialba filastrocca che gela animo e fa
pensare agli spaghetti lasciati a casa. Solo nel finale la scaletta diventa più
dinamica con “Buon Appetito”, “ L’amore non è un’opinione” e le ultime del bis “Beato me ” ( inserita
tra l’altro nell’album -raccolta indie “ Il paese e reale “) e “Vieni a vivere”.Si può apprezzare una
angustia inflessibile e una complessità mediocre, il resto da dimenticare in
fretta prima che quei maledetti ritornelli bisillabi o in rima entrino in testa per ritrovarsi poi a casa a canticchiare :“cadi giù dal letto badabum ,
mi tieni forte e poi non ti muovi, chiudi gli occhi e non ti vedo più “ . Ma forse è già troppo tardi , non è servita la buona birra
venduta dagli organizzatori all’ingresso dell’auditorium.