Con Ferdinando di Arturo Cirillo tra Angeli e Diavoli
di Francesco Altavista
Matera – Il “ Ferdinando “ , in scena al teatro “
Duni” sabato scorso nell’ambito della
rassegna “ Teatri uniti – Napoli a Matera”, scritto da Annibale Ruccello e riadattato dal genio e follia di Arturo
Cirillo che ne cura anche la regia, sguazza nelle contraddizioni con violenza
pura, si aggira tra depravazioni e
sentimenti nello stesso tempo profondi e deviati con straordinaria fierezza e conoscenza, accoglie,
coccola e deride i suoi personaggi con arguzia e con eleganza ne disegna il
volto nella testa del pubblico per poi come fa un pennello intriso d’acqua
portato questa volta con sussurrata delicatezza
su un disegno, confonde tutto nell'indefinibilità lirica. Arturo Cirillo è anche in scena nella
parte di Don Catello, un prete viscoso e
vizioso che sembra esser uscito fuori
dagli scritti del marchese De Sade.
Se da una parte è vero che il prelato mette
in luce enormi contraddizioni nel suo
rapporto con Dio e con il peccato,
Cirillo i mostra un uomo succube della sua stessa vita, della sua stessa velata
cattiveria ma anche delle empie, nei suoi confronti, decisioni degli altri. Don
Catello come gli altri personaggi è in bilico su un ponte con sotto il dirupo dove ci sono le considerazioni facili,
ad un certo punto il pubblico quasi spera che possa cadere per farsene un’idea
precisa, ma non succede. Due ore ininterrotte
di teatro, senza pause e cali di
tensione, il pubblico poco, a dir la verità, al teatro” Duni “, è attento concentrato su ognuno delle maschere che il
testo di Ruccello ha scritto e che Arturo Cirillo fa muovere sul palco con precisione, mostrando in questi movimenti il
passare del tempo con magie di regia. La
storia è ambientata dopo una grande
rivoluzione di costumi, dove la classe dominante deve cedere il posto ad una
nuova classe borghese che approfittando dell’”Unità d’Italia” vuole
appropriarsi del prestigio e del potere. Questo una consapevolezza che la pièce
lascia in modo distratto, tra le vicissitudini dei personaggi , ma che con
fascino, certamente evidenzia anche un
valore politico – sociale dei simboli mostrati.
Una incredibile e vulcanica Sabrina Scuccimarra interpreta Donna Clotilde la parte che
Annibale Ruccello scrisse per Isa Danieli, lei il perno della storia, lei
rappresenta il tempo che non è più, la sconfitta che va a legarsi all’onore della famiglia ma
che rovina nel tranello di Ferdinando interpretato da un bravo Nino Bruno.
La
sessualità repressa, la carne in fiore di un giovane disegna quasi ” pasolinianamente” terribili cognizioni.
Donna Clotilde rovina come il regno dei Borboni ed è incapace di reagire quando
tutto si svela, si sazia del giovane in un sentimento che non essendo totale e
pieno risulta per forza falso. In dialoghi che nella stessa frase fanno ridere
il pubblico per poi bloccarlo di botto quasi scandalizzato o strattonato dalla
violenza di alcune metafore, però la gelosia, l’amore, l’orgoglio e anche
l’odio si costruiscono da sé e poi allo stesso modo si trasformano
continuamente. Geniale nel testo il contrasto tra l’italiano dei “ Savoia”e il
napoletano dei Borboni non tanto per il
valore storico, ma proprio per caratterizzare i personaggi Nel modo aristocratico, impellicciato di
parlare di Ferdinando nasce da subito una stana contraddizione in una casa in
rovina. Il tutto si muove in una scenografia intelligente di Dario Gessati,
sembra formata da un largo e grande tappeto che sale verticalmente alle spalle
degli attori. In scena il letto di Donna Clotilde, un divano, un mobile e un candelabro a terra che sale quando
sembra che il giovane Ferdinando abbia portato la gioia e l’allegria in casa.
Donna Gesualda interpretata da un’impeccabile Monica Piseddu, è il pesonaggio
più interessante. Vive una storia
carnale e di peccato con Don Catello,
accudisce nonostante le vessazioni la cugina Donna Clotilde, cuce le ali e il costume per Ferdinando per
una recita nei panni dell’arcangelo. E’ lei il fulcro di tutte le
contraddizioni, sembra essere lei a tessere le trame della storia. E lei che
viene tradita da Don Catello per Ferdinando, verso il prete un sentimento bello
ma incompleto e viziato da blasfemia. Lei
si accorderà alla fine con Donna Clotilde per uccidere il prelato, lei mostrerà
la falsità di quest’ultima come donna che non è mai stata fedele al marito,
addirittura ladra. Sempre lei mostra al pubblico un confine netto tra
l’amore e la carne, verso Ferdinando è
solo passione, voglia spudorata del corpo del giovane, un confine netto che
svela la grande contraddizione del prete, innamorato del peccato che usa come
arma verso il Dio che normalmente dovrebbe onorare. In qualche modo svela anche l’inganno di
Ferdinando in realtà figlio del notaio voglioso di potere e di ricchezze e non parente di Donna Clotilde, si svela
alla fine con un ricatto per avere le ricchezze nascoste e tutto questo lo fa
con indosso gli abiti di un angelo cucini proprio da donna Gesualda. Ma sono
così simili gli angeli del paradiso e quelli dell’inferno che ad un certo punto
sembra evidente la straordinaria capacità di Monica Piseddu nei panni di Donna
Gesualda di cambiare faccia ma di restare un angelo comunque,anche quando tutto sembra tornare alle condizioni di
partenza nonostante si sia macchiata di un omicidio verso l’uomo che amava. Una
pièce bella, tutta da godere anche parlandone con gli amici tornando a casa,
tante le trame, tante le contraddizioni mostrate da attori straordinaria, una
su tutte Monica Piseddu che nella sua recitazione è stata capace di
trasformarsi, di strattonare quel poco di certezza e ragionamento nel pubblico,
capace di dare corpo a dei sentimenti umani che sono sembrati, tristemente per
un romantico, carnali senza perdere però
la poesia del testo che non stato
blasfemo perché se pur formato da
metafore e parole violente, non ha parlato di esseri celesti e di Dio ma di
uomini.