giovedì 7 febbraio 2013

Grisù, commedia gustosa di Clementi

da " Il quotidiano della Basilicata"

Grisù di Clementi, una commedia " gustosa"



di Francesco Altavista 



Satriano di Lucania – Alla fine dello spettacolo si va tutti di corsa a degustare prodotti tipici nel Castello Guarini di Satriano di Lucania, con gli attori che fino a pochi minuti prima avevano saziato tutti a suon di risate per circa due ore. E’ la nuova idea degli organizzatori della rassegna “ Le valli del teatro”, Domenico De Rosa e Rocco Positino: unire il teatro alla promozione dei prodotti tipici, uno strano ma interessantissimo intreccio tra l’arte e i sapori del Melandro.  E quindi  Paolo Triestino, Nicola Pistoia, Franca Abategiovanni, Sandra Caruso e Diego Guenci  appena scesi dal palcoscenico del teatro “ Anzani” di Satriano di Lucania e smessi i vestiti di scena della splendida commedia del genio  Gianni Clementi ”, Grisù, Giuseppe e Maria” ,  domenica scorsa si sono ritrovati nella “Rocca Duca Poggiardo” insieme a tutto il pubblico che poco prima si era trascinato in un lunghissimo applauso,  a gustare latticini e salumi tipici seguiti dall'immancabile buon bicchiere di vino che da queste parti si può accompagnare anche solo ad una chiacchiera, in questo caso, con gli attori. Certo la stanza del buffet probabilmente  rinvigorita da qualche “intruso”  ha appassionato più persone ma il teatro “Anzani” al primo spettacolo della rassegna 2013  “ Le valli del teatro”  fa registrare quasi il tutto esaurito, segno di una amore per la coppia Triestino – Pistoia  ma anche un gesto d’affetto profondo verso gli organizzatori della rassegna, De Rosa e Positino.  Gianni Clementi per portare il pubblico in una intricatissima storia, tipicamente napoletana  usa l’espediente del flashback affidato a Donna  Rosa interpretata da una bravissima Franca Abategiovanni  che appare  in platea  davanti ad un altarino  corredato da un’immagine della “ madonna”.  Tutta la pièce, sotto un’energica, veloce  e moderna regia di Nicola Pistoia,  è un omaggio al teatro napoletano, non solo nella lingua che con straordinaria maestria viene fatta fluttuare nella storia da attori non napoletani, ma anche  nei modi, nelle strutture, nelle sceneggiate   e perfino nell'intreccio che ricorda molto nel  sapore le speculazioni   “scaperttiane”. 



Anche nelle caratterizzazioni dei personaggi Clementi si rifà alla commedia napoletana  di   Scarpetta, specie nei personaggi femminili  dove è evidente qualche vena del maschilismo che caratterizzava quelle opere partenopee: le donne  non sono protagoniste che superano gli argini imposti ma vittime che stanno al loro posto.  E’ una pièce comunque che ,  come al solito quando si assiste alla magia della penna di Gianni Clementi, non bisogna leggere superficialmente affidandosi solo  alle continue maschere esilaranti corredate da battute, ma scavare nelle personalità dei personaggi  e nella straordinaria lirica dei dialoghi. E’ un esercizio che il pubblico deve fare per dedicarsi corpo e anima ad una scrittura entusiasmante oltre che a capacità interpretative uniche da parte di tutti gli attori in scena.  Paolo Triestino è il perno di tutta la storia: è il prete, Don Ciro intorno al quale si legano tutte le storie dei personaggi,  tutte dalla doppia faccia. Una con il sorriso e la speranza propria degli anni 50 periodo in cui è ambientata la pièce e l’altra terribile, oscura, ombrosa  e più nascosta che evidenzia le storture del dopoguerra e  fornisce alcune delle parole che tratteggiano  la modernità. Così  questo strano prete che è simbolo della pièce,  da una parte appassiona il pubblico  e ricorda un po’ l’eroe che vuole portare Pozzuoli verso l’emancipazione, l’amico del popolo, pronto a tendere la mano, pronto a dare insegnamenti ma a non essere severissimo sui dogmi della chiesa ma comprensivo e disponibile nel leggere le lettere ai suoi fedeli analfabeti:  dall’altra parte il prelato diventa anche il custode aggressivo  di un tempo ormai frantumato come i valori della famiglia e le vite dei miserabili,questi ultimi indirizzati a votare il consigliere comunale che fa i favori. 
E’ Don Ciro che decide di costruire una truffa per salvare due donne sole dallo scandalo. Sullo sfondo la tragedia di “ Marcinelle” , dove muore a causa del gas “ Grisou” o “ “ Grisù”, Antonio   il marito fedifrago di Donna Rosa che come il prelato vuole mantenere almeno la parvenza di donna onesta e timorata di Dio ma il suo essere anche moglie comprensiva fino all’assurdo ( concede senza batter ciglio  la relazione amorosa tra il marito e la sorella) la porta ad una sconfitta su tutti i fronti. Insieme alla tragedia della miniera belga  c’è la storia di “Peppiniello” il figlio mezzo analfabeta ma  talentuoso nel gioco del calcio  di donna Rosa, simbolo del sud  che alla fine abbandonerà l’Internazionale per tornare alla sua Napoli a vendere gelati per pochi spiccioli. Pozzuoli diventa l’immagine di un’Italia deturpata e violentata dalla guerra appena passata, un momento in cui i valori alzati come la polvere  del fuoco delle bombe deve ancora assestarsi. In questa confusione da sconfitto si muove , marginalmente, anche il sacrestano Vincenzo che non riesce a cantare “L’alleluia” ; zoppo e con una mano sola, è  l’espediente comico della pièce, interpretato da Nicola Pistoia. Donna Filumena,  sorella di Donna Rosa  interpretata dall’unica napoletana della compagnia Sandra Caruso è la vittima di questo caos, vittima della sua passione ormonale,  lei è lo scandalo che si vuole evitare, aspetta un figlio dal marito di sua sorella o almeno così si crede fino alla fine. Vittima del sotterfugio di Don Ciro è Don Eduardo interpretato da Diego Guenci  anche lui marito traditore ammaliato dalle grazie di Donna Filumena. Per evitare l’immoralità  i due nascituri vengono attribuiti a Donna Rosa e sarà lei a sopportare il peso dello scandalo perché come finiscono quasi sempre le storie d’amore e di tradimento napoletane, il figlio di donna Filumena è “nero”  e sarà chiamato proprio Grisù. Finisce bene la storia: Donna Rosa perdona in qualche modo la sorella, Don Ciro aspetta il suo nuovo sacrestano perchè Vincenzo è diventato prete, Don Eduardo padrino di Grisù baderà economicamente al suo sostentamento e Donna Filumena ha mantenuto la sua immagine di donna casta e pura. Un finale che di lieto ha solo la parvenza, dentro brucia di parole amare e consapevolezze nascoste ma in fondo brilla una luce di speranza perché non si parla dei tempi moderni ma degli anni 50 ,quando era ancora permesso che dal  matrimonio tra  delusioni e  sogni nascesse la speranza.  

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