giovedì 7 febbraio 2013

Con Ferdinando di Arturo Cirillo tra Angeli e Diavoli

da " Il quotidiano della Basilicata"

Con Ferdinando di Arturo Cirillo tra Angeli e Diavoli 


di Francesco Altavista 



Matera –  Il “ Ferdinando “ , in scena al teatro “ Duni” sabato scorso  nell’ambito della rassegna “ Teatri uniti – Napoli a Matera”,  scritto da Annibale Ruccello e riadattato dal genio e follia di Arturo Cirillo  che ne cura anche la regia,  sguazza nelle contraddizioni con violenza pura,  si aggira tra depravazioni e sentimenti nello stesso tempo profondi e deviati  con straordinaria fierezza e conoscenza, accoglie, coccola e deride i suoi personaggi con arguzia e con eleganza ne disegna il volto nella testa del pubblico per poi come fa un pennello intriso d’acqua portato questa volta con sussurrata delicatezza  su un disegno, confonde tutto nell'indefinibilità lirica.   Arturo Cirillo è anche in scena nella parte  di Don Catello, un prete viscoso e vizioso   che sembra esser uscito fuori dagli scritti del marchese De Sade. 




Se da una parte è vero che il prelato mette in luce enormi contraddizioni  nel suo rapporto con Dio  e con il peccato, Cirillo i mostra un uomo succube della sua stessa vita, della sua stessa velata cattiveria ma anche delle empie, nei suoi confronti, decisioni degli altri. Don Catello come gli altri personaggi è in bilico su un ponte con sotto il  dirupo dove ci sono le considerazioni facili, ad un certo punto il pubblico quasi spera che possa cadere per farsene un’idea precisa, ma non succede.  Due ore  ininterrotte  di teatro, senza pause  e cali di tensione, il pubblico poco, a dir la verità, al teatro” Duni “, è attento  concentrato su ognuno delle maschere che il testo di Ruccello ha scritto e che Arturo Cirillo  fa muovere sul palco con  precisione, mostrando in questi movimenti il passare del tempo con magie di regia.  La storia è ambientata  dopo una grande rivoluzione di costumi, dove la classe dominante deve cedere il posto ad una nuova classe borghese che approfittando dell’”Unità d’Italia” vuole appropriarsi del prestigio e del potere. Questo una consapevolezza che la pièce lascia in modo distratto, tra le vicissitudini dei personaggi , ma che con fascino, certamente  evidenzia anche un valore politico – sociale dei simboli mostrati.  Una  incredibile e vulcanica  Sabrina Scuccimarra   interpreta Donna Clotilde la parte che Annibale Ruccello scrisse per Isa Danieli, lei il perno della storia, lei rappresenta il tempo che non è più, la sconfitta  che va a legarsi all’onore della famiglia ma che rovina nel tranello di Ferdinando interpretato da un bravo Nino Bruno. 



La sessualità repressa, la carne in fiore di un giovane  disegna quasi ” pasolinianamente” terribili cognizioni. Donna Clotilde rovina come il regno dei Borboni ed è incapace di reagire quando tutto si svela, si sazia del giovane in un sentimento che non essendo totale e pieno risulta per forza falso. In dialoghi che nella stessa frase fanno ridere il pubblico per poi bloccarlo di botto quasi scandalizzato o strattonato dalla violenza di alcune metafore, però la gelosia, l’amore, l’orgoglio e anche l’odio si costruiscono da sé e poi allo stesso modo si trasformano continuamente. Geniale nel testo il contrasto tra l’italiano dei “ Savoia”e il napoletano dei Borboni  non tanto per il valore storico, ma proprio per caratterizzare i personaggi  Nel modo aristocratico, impellicciato di parlare di Ferdinando nasce da subito una stana contraddizione in una casa in rovina. Il tutto si muove in una scenografia intelligente di Dario Gessati, sembra formata da un largo e grande tappeto che sale verticalmente alle spalle degli attori. In scena il letto di Donna Clotilde, un divano, un mobile  e un candelabro a terra che sale quando sembra che il giovane Ferdinando abbia portato la gioia e l’allegria in casa. Donna Gesualda interpretata da un’impeccabile Monica Piseddu, è il pesonaggio più interessante.  Vive una storia carnale e di peccato con Don Catello,  accudisce nonostante le vessazioni la cugina Donna Clotilde,  cuce le ali e il costume per Ferdinando per una recita nei panni dell’arcangelo. E’ lei il fulcro di tutte le contraddizioni, sembra essere lei a tessere le trame della storia. E lei che viene tradita da Don Catello per Ferdinando, verso il prete un sentimento bello ma incompleto  e viziato da blasfemia. Lei si accorderà alla fine con Donna Clotilde per uccidere il prelato, lei mostrerà la falsità di quest’ultima come donna che non è mai stata fedele al marito, addirittura ladra. Sempre lei mostra al pubblico un confine netto tra l’amore  e la carne, verso Ferdinando è solo passione, voglia spudorata del corpo del giovane, un confine netto che svela la grande contraddizione del prete, innamorato del peccato che usa come arma verso il Dio che normalmente dovrebbe onorare.  In qualche modo svela anche l’inganno di Ferdinando in realtà figlio del notaio voglioso di potere e di ricchezze  e non parente di Donna Clotilde, si svela alla fine con un ricatto per avere le ricchezze nascoste e tutto questo lo fa con indosso gli abiti di un angelo cucini proprio da donna Gesualda. Ma sono così simili gli angeli del paradiso e quelli dell’inferno che ad un certo punto sembra evidente la straordinaria capacità di Monica Piseddu nei panni di Donna Gesualda di cambiare faccia ma di restare un angelo comunque,anche  quando tutto sembra tornare alle condizioni di partenza nonostante si sia macchiata di un omicidio verso l’uomo che amava. Una pièce bella, tutta da godere anche parlandone con gli amici tornando a casa, tante le trame, tante le contraddizioni mostrate da attori straordinaria, una su tutte Monica Piseddu che nella sua recitazione è stata capace di trasformarsi, di strattonare quel poco di certezza e ragionamento nel pubblico, capace di dare corpo a dei sentimenti umani che sono sembrati, tristemente per un romantico,  carnali senza perdere però la poesia del testo che non  stato blasfemo perché  se pur formato da metafore e parole violente, non ha parlato di esseri celesti e di Dio ma di uomini.

1 commento:

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