da " il Quotidiano della Basilicata"
Il romanzo non mi è mai piaciuto molto. Troppo lungo e noiso.
Buccirosso riscrive Manzoni per "vendetta"
di Francesco Altavista
Satriano - Un successo preannunciato per l’opera “ I Compromessi Sposi” di Carlo Buccirosso, nell’ambito della rassegna “ Le valli del teatro”. Il tutto esaurito sia al cine-teatro Eden di Marsicovetere che nel teatro Anzani di Satriano di Lucania, fanno pensare alla grande professionalità e bravura del regista, attore e scrittore Carlo Buccirosso. Quest’ultimo dotato di un animo artistico davvero molto sensibile che si muove tra il capriccioso e il pignolo, concede alcune brevi battute in esclusiva al “ Quotidiano” prima dello spettacolo di Satriano.
“ I compromessi sposi” è stato definito parodia, musical mancato, che tipo di spettacolo è ? Si potrebbe considerare una nuova tendenza del teatro partenopeo ?
E’ una commedia musicale, non c’è alcun dubbio. Parole, battute mischiate alla musica a volte a modo di parodia Non è una tendenza. Io scrivo prosa, commedie musicali, di tutto. Nel teatro non c’è moda , il teatro non è una tendenza. Scrivo quello che mi sento di scrivere non seguo tendenze.
Perché ha scelto di fare un’opera teatrale sul capolavoro Manzoniano “I promessi sposi”?
E’ un’opera che non mi è mai piaciuta molto, quando la studiavo a scuola non mi ha mai attratto particolarmente. Noiosa e troppo lunga , ho fatto una riduzione teatrale mettendoci qualcosa di diverso , qualcosa di moderno. Naturalmente non è una sconfitta di Manzoni, anche perché io non so scrivere romanzi, è un’arte che non saprei mai sviluppare, come probabilmente ho fatto una riduzione teatrale che lui non avrebbe mai saputo fare.
Lei nelle sue opere fa da regista , attore e scrive e cura i testi. Come si definisce in questi campi ?
Credo di far bene, tutte e tre le cose . Come scrittore non metto mai in scena una cosa se non sono convinto che è fatta bene, credo di essere pignolissimo e preciso, di spiegare bene le cose al pubblico. Come regista credo di avere grande rispetto per gli attori e quindi in pratica ho gusto, perché la regia è gusto, cuore, umanità e precisione. Come attore credo che ho una carriera abbastanza completa per poter fare vari ruoli.
Lei è riconosciuto un grande attore ma cosa le hanno dato per la sua vita artistica i Fratelli Vanzina?
I soldi, solo ed esclusivamente i soldi.
Lei ha recitato nel capolavoro di Sorrentino , il Divo , la storia di dirigenti, tra cui Andreotti guidati dal potere, cosa si sente di dire su quella classe dirigente ?
La classe dirigente di allora non la posso giudicare perché non ho una grande esperienza politica e quella è un’epoca che non ho vissuto molto. Posso dire che il personaggio, Pomicino è una persona preparata ed intelligentissima. Credo di averla presentata con il mio modo di essere brillante e simpatico che mi ha riconosciuto una vita.
Come mai ha lasciato il gruppo storico formato da lei ,Salemme , Casagrande e Paone? Nell’ambiente sembra che si covi la speranza di rivedervi insieme?
Ho lasciato per fare miei spettacoli . Quando si ha qualcosa da dire , non la si divide con nessuno. Sono un attore non timbro il cartellino ed ho deciso di fare anche il regista e scrittore. Credo che non ci siano ne i motivi ne le condizioni per tornare insieme. Io non spero niente, spero solo che mi vada bene il mio lavoro, forse è una speranza loro.
Per Carlo Buccirosso, il teatro e la Bellezza ?
La Bellezza è l’animo, il teatro e la Bellezza dell’animo.
venerdì 29 gennaio 2010
domenica 24 gennaio 2010
Intervista a Alessandro Mannarino
da " Il quotidiano della Basilicata"
A tu per tu con il cantautore un po' pagliacico un po' poeta
Mannarino a tutto tondo
di Francesco Altavista
Pignola - Il “Tom Waits” italiano, Alessandro Mannarino sarà all’Elios di Pignola il prossimo 15 gennaio, nel tour che segue il suo primo lavoro discografico “ Il Bar della Rabbia”: etichetta indipendente ma distribuito dalla Universal. Il trentenne romano viene considerato dai critici l’erede di DeGregori o il nuovo Vinicio Capossela. Prima del concerto concede un’intervista esclusiva.
Parliamo subito del disco d’esordio “ Il Bar della Rabbia”. Come nasce e quale novità secondo lei porta nel panorama musicale italiano?
Il disco raccoglie le canzoni scritte negli ultimi anni. Quando ho scelto le canzoni da inserire nel primo disco ho cercato di mettere insieme le canzoni più rappresentative e quelle che stanno bene insieme. Diciamo quindi che le canzoni hanno creato questo posto che è il Bar della Rabbia. Non so che novità porta al panorama italiano, io ho messo il gusto personale, riguarda anche sonorità che in Italia non si sentono molto. Spiegazioni di altri Paesi. La novità è il modo di rapportarmi ai personaggi che popolano il disco che si rifanno a dei concetti
E’ stato definito un surrealista.
Penso che l’abbiano detto perché in delle canzoni uso delle immagini che nella realtà sono impossibili. In “ Scetate vajo” c’è un personaggio che tagliato a pezzi continua a vivere e cantare. La realtà viene trasfigurata attraverso la fantasia. Anche i derelitti del Bar della Rabbia, il pagliaccio, il barbone reinventano la realtà, dove tutto può accadere, loro stessi si possono riscattare da una situazione di marginalità e di sconforto, dove le regole del mondo in cui viviamo vengono sovvertite. La realtà viene raccontata non con l’occhio del documentarista ma passa attraverso la fantasia
I protagonisti dell’album sono Pagliacci, barboni, zingari, ubriachi romantici. In quale Mannarino si rispecchia ?
“Sono tutte parti di me, sono sogni , vaneggiamenti, fughe dalla realtà. Pagliaccio mi sono sentito molte volte, anche mentre suonavo. A volte prendevo la chitarra e andavo a suonare in locali sbagliati . La condizione del pagliaccio e quella chi vive chi cerca di farsi conoscere e chi è spinto dalla presunzione di voler a tutti i costi suonare su un palco. Mi sono sentito zingaro quando andavo in giro a suonare da solo. Mi sono sentito come tutti i personaggi del disco. Il Barbone incarna la depressione . la ribellione fatta male, contro tutti e poi finisce per ammazzarsi da solo, la fantasia poi lo salva.”
I critici sono concordi nel dire che il disco regala una sensazione di “taverna fumosa”,può essere considerata una contrapposizione al gigantismo degli stadi?
E’ la storia personale, io ho suonato parecchio nelle taverne e un po’ questa cosa te la porti dietro. Sta nelle canzoni, ognuna si porta dietro una storia e trasmette un mondo. Ci sono alcune canzoni che le puoi ascoltare dovunque e ti danno quella sensazione. In luoghi non troppo grandi funziona meglio. Ogni posto ha una sua identità però ci sono luoghi magici e sono quelli più intimi. La taverna ha una sua libertà, il cantante se lo deve guadagnare il pubblico e si può guadagnare anche gli insulti, cose che il cantante da stadio non può sentire. Un po’ come fanno in Andalusia i Cantor Flamenco, mentre cantano , guardano il pubblico che commenta, si emoziona : lo spettacolo si fa in due.
Nel disco fa una mescolanza di suoni diversi che superano non solo le definizioni di genere ma anche i confini di etnia o di razza. Lei è anche un esperto di Antropologia culturale cosa intende per questi concetti oggi talmente controversi che a volte sfociano in razzismo ?
Il mio genere si potrebbe definire Schitarrate selvagge. La razza non esiste, è un concetto pseudo-scientifico. C’è la razza umana , gli uomini. L’Etnia è l’appartenenza ad un gruppo legato al territorio o a una credenza religiosa. Ma in un villaggio globale queste differenze si confondono in una mescolanza. C’è uno studio dell’Etnia giusta: la salvaguardia delle preziosità culturali. Queste però fanno parte del patrimonio di tutti. L’etnia non è un fatto razziale e scientifico. Le culture diverse fanno la ricchezza del mondo. La politica e le dichiarazioni della Lega Nord mi fanno pensare che questi non capiscono che si perde tantissimo allontanando la diversità
Passiamo al mercato della musica . Internet e lo scaricare musica contribuiscono alla scomparsa di grossi cantautori e alla crisi del mondo musicale?
E’ giusto internet e scaricare musica gratis, non è crisi. Io ho vissuto musicalmente per anni scaricando musica gratis e qualche volta lo faccio anche oggi. Per me è un bene la condivisione. I miei pezzi li possono scaricare e copiare, per me va bene. Naturalmente chi fa un disco, la gente che ci lavora ci deve guadagnare, come si guadagna da altri lavori, bisogna trovare un’alternativa, però per me l’importante e che si suoni in giro.
Ma anche Guccini disse non molto tempo fa che non esistono più i cantautori di una volta
Meno male che non esistono, ci siamo liberati dall’ideologia nella musica. Prima se non avevi la tessera del partito non potevi fare i concerti, oggi c’è più libertà di pensiero. Non è una morte ma una rinascita dei cantautori Il cantante stalinista è morto, il cantautore che per fare i concerti doveva cantare con il pugno alzato non esiste più. Io il pugno lo alzo a casa mia è una cosa privata, non per il mio pubblico.
E i Talent Show?
E’ una paraculata delle case discografiche. Non credo sia una cosa seria la gavetta si fa lavorando, trovando nel mercato vero il proprio posto. I Talent show sono solo macchine per soldi. In televisione ci dovrebbe andare gente brava non chi deve imparare.
Ora mi rivolgo al Mannarino poeta. Cosa è la Bellezza?
La Bellezza siamo noi , noi esseri umani. La faccia delle persone, le storie che ognuno ha dentro.
Ogni persona è un diamante , si scheggia , si infanga ma ognuno porta già il futuro con se al mondo. La Bellezza è l’uomo e la donna nel mondo.
A tu per tu con il cantautore un po' pagliacico un po' poeta
Mannarino a tutto tondo
di Francesco Altavista
Pignola - Il “Tom Waits” italiano, Alessandro Mannarino sarà all’Elios di Pignola il prossimo 15 gennaio, nel tour che segue il suo primo lavoro discografico “ Il Bar della Rabbia”: etichetta indipendente ma distribuito dalla Universal. Il trentenne romano viene considerato dai critici l’erede di DeGregori o il nuovo Vinicio Capossela. Prima del concerto concede un’intervista esclusiva.
Parliamo subito del disco d’esordio “ Il Bar della Rabbia”. Come nasce e quale novità secondo lei porta nel panorama musicale italiano?
Il disco raccoglie le canzoni scritte negli ultimi anni. Quando ho scelto le canzoni da inserire nel primo disco ho cercato di mettere insieme le canzoni più rappresentative e quelle che stanno bene insieme. Diciamo quindi che le canzoni hanno creato questo posto che è il Bar della Rabbia. Non so che novità porta al panorama italiano, io ho messo il gusto personale, riguarda anche sonorità che in Italia non si sentono molto. Spiegazioni di altri Paesi. La novità è il modo di rapportarmi ai personaggi che popolano il disco che si rifanno a dei concetti
E’ stato definito un surrealista.
Penso che l’abbiano detto perché in delle canzoni uso delle immagini che nella realtà sono impossibili. In “ Scetate vajo” c’è un personaggio che tagliato a pezzi continua a vivere e cantare. La realtà viene trasfigurata attraverso la fantasia. Anche i derelitti del Bar della Rabbia, il pagliaccio, il barbone reinventano la realtà, dove tutto può accadere, loro stessi si possono riscattare da una situazione di marginalità e di sconforto, dove le regole del mondo in cui viviamo vengono sovvertite. La realtà viene raccontata non con l’occhio del documentarista ma passa attraverso la fantasia
I protagonisti dell’album sono Pagliacci, barboni, zingari, ubriachi romantici. In quale Mannarino si rispecchia ?
“Sono tutte parti di me, sono sogni , vaneggiamenti, fughe dalla realtà. Pagliaccio mi sono sentito molte volte, anche mentre suonavo. A volte prendevo la chitarra e andavo a suonare in locali sbagliati . La condizione del pagliaccio e quella chi vive chi cerca di farsi conoscere e chi è spinto dalla presunzione di voler a tutti i costi suonare su un palco. Mi sono sentito zingaro quando andavo in giro a suonare da solo. Mi sono sentito come tutti i personaggi del disco. Il Barbone incarna la depressione . la ribellione fatta male, contro tutti e poi finisce per ammazzarsi da solo, la fantasia poi lo salva.”
I critici sono concordi nel dire che il disco regala una sensazione di “taverna fumosa”,può essere considerata una contrapposizione al gigantismo degli stadi?
E’ la storia personale, io ho suonato parecchio nelle taverne e un po’ questa cosa te la porti dietro. Sta nelle canzoni, ognuna si porta dietro una storia e trasmette un mondo. Ci sono alcune canzoni che le puoi ascoltare dovunque e ti danno quella sensazione. In luoghi non troppo grandi funziona meglio. Ogni posto ha una sua identità però ci sono luoghi magici e sono quelli più intimi. La taverna ha una sua libertà, il cantante se lo deve guadagnare il pubblico e si può guadagnare anche gli insulti, cose che il cantante da stadio non può sentire. Un po’ come fanno in Andalusia i Cantor Flamenco, mentre cantano , guardano il pubblico che commenta, si emoziona : lo spettacolo si fa in due.
Nel disco fa una mescolanza di suoni diversi che superano non solo le definizioni di genere ma anche i confini di etnia o di razza. Lei è anche un esperto di Antropologia culturale cosa intende per questi concetti oggi talmente controversi che a volte sfociano in razzismo ?
Il mio genere si potrebbe definire Schitarrate selvagge. La razza non esiste, è un concetto pseudo-scientifico. C’è la razza umana , gli uomini. L’Etnia è l’appartenenza ad un gruppo legato al territorio o a una credenza religiosa. Ma in un villaggio globale queste differenze si confondono in una mescolanza. C’è uno studio dell’Etnia giusta: la salvaguardia delle preziosità culturali. Queste però fanno parte del patrimonio di tutti. L’etnia non è un fatto razziale e scientifico. Le culture diverse fanno la ricchezza del mondo. La politica e le dichiarazioni della Lega Nord mi fanno pensare che questi non capiscono che si perde tantissimo allontanando la diversità
Passiamo al mercato della musica . Internet e lo scaricare musica contribuiscono alla scomparsa di grossi cantautori e alla crisi del mondo musicale?
E’ giusto internet e scaricare musica gratis, non è crisi. Io ho vissuto musicalmente per anni scaricando musica gratis e qualche volta lo faccio anche oggi. Per me è un bene la condivisione. I miei pezzi li possono scaricare e copiare, per me va bene. Naturalmente chi fa un disco, la gente che ci lavora ci deve guadagnare, come si guadagna da altri lavori, bisogna trovare un’alternativa, però per me l’importante e che si suoni in giro.
Ma anche Guccini disse non molto tempo fa che non esistono più i cantautori di una volta
Meno male che non esistono, ci siamo liberati dall’ideologia nella musica. Prima se non avevi la tessera del partito non potevi fare i concerti, oggi c’è più libertà di pensiero. Non è una morte ma una rinascita dei cantautori Il cantante stalinista è morto, il cantautore che per fare i concerti doveva cantare con il pugno alzato non esiste più. Io il pugno lo alzo a casa mia è una cosa privata, non per il mio pubblico.
E i Talent Show?
E’ una paraculata delle case discografiche. Non credo sia una cosa seria la gavetta si fa lavorando, trovando nel mercato vero il proprio posto. I Talent show sono solo macchine per soldi. In televisione ci dovrebbe andare gente brava non chi deve imparare.
Ora mi rivolgo al Mannarino poeta. Cosa è la Bellezza?
La Bellezza siamo noi , noi esseri umani. La faccia delle persone, le storie che ognuno ha dentro.
Ogni persona è un diamante , si scheggia , si infanga ma ognuno porta già il futuro con se al mondo. La Bellezza è l’uomo e la donna nel mondo.
domenica 17 gennaio 2010
Ops...pizzicato: Spettacolo messo in scena dall'Ameno Cinema
da " il quotidiano della Basilicata"
Tonino Labella sottotono alla prima dello Stabile,primeggia Isabella Urbano
Ops ! Un farfallone poco "Ameno "
di Francesco Altavista
Potenza – Ops! E’ proprio il caso di dirlo. Nel suggestivo teatro Stabile di Potenza ci si aspettava una commedia brillante ma Ops ! Noiosa, scontata e disarmante a tratti sgarbata, la commedia portata in scena con la regia e cura dei testi di Giovanni Pelliccia. Il pubblico che riempie il teatro si abbandona sulle rosse a caldi sedie, qualcuno nei palchetti si accomoda stremato su un pilastro o magari sulla spalla dell’amico; ogni tanto un applauso per scacciare il tedio o per premiare uno degli attori che sporadicamente crea qualche emozione. La scena della commedia è presa da due tavoli qualche oggetto da ristorante ed un orrendo candelabro stile ottocento al centro del palco, acceso e di una luce assordante che a qualche spettatore seduto nelle ultime sedie crea problemi di visibilità. Rilevante ed audace la scelta di recitare senza l’ausilio di microfoni, una delle scelte azzeccate se non fosse per qualche attore che in diverse occasioni anziché recitare sembra sussurrare. E’ il caso di Severino, nella vita Tonino Labella, un esperto e bravo attore che delude ; da personaggio farfallone diventa scioccante e goffo, troppo lento il suo modo di recitare, all’apertura del sipario incomprensibili ed impalpabili le sue battute che diventano con passare del tempo macchinose come inseguiti si dimostrano i suoi movimenti, probabilmente una serata no per l’esperto attore. Riuscita la scelta dell’attrice che interpreta l’amate, Lucia Sabia nella pièce: Mericlaire. Crea qualche momento di ilarità, ma la scena comica si ripete troppe volte allo stesso modo creando ancora una volta stanchezza mentale nel pubblico. Si dimostra grossolana forse trascinata nell’oblio dalla serata no di Tonino Labella .
Un “deus ex Machina ” , un jolly il giovane attore Dino Lopardo, il cameriere Filux nel disperato tentativo di rendere la scena più dinamica, si dimostra bravo nella recitazione ma è trascinato da un testo scontato e da movimenti insensati nell’indifferenza del pubblico. Nel secondo atto l’entrata del quarto ed ultimo personaggio. La moglie del protagonista Isabelle, nella vita Isabella Urbano. Se il primo atto si dimostra noioso, nel secondo si è ad un passo dal sonno profondo. Ma Isabella Urbano è una piacevole sorpresa, entra in un personaggio particolare, quasi in sordina, con un eleganza peculiare. Trascina la scena su note più dolci, il suo modo di porsi è sublime, aiutata dalla sua straordinaria bellezza trascina il pubblico in un mondo incantevole. Nonostante un secondo atto che non dice praticamente nulla, la scena tra Isabelle accondiscendente alle lusinghe di un Filux conquistatore, si rivela sopra la media dello spettacolo. La conclusione è scontata non poteva essere altrimenti per una commedia con un testo prevedibile. Un applauso povero e di circostanza per il pubblico che si esalta timidamente solo all’uscita della fiabesca Isabella Urbano, prima di consegnarsi alle dolci e sospirate lenzuola del proprio letto.
Tonino Labella sottotono alla prima dello Stabile,primeggia Isabella Urbano
Ops ! Un farfallone poco "Ameno "
di Francesco Altavista
Potenza – Ops! E’ proprio il caso di dirlo. Nel suggestivo teatro Stabile di Potenza ci si aspettava una commedia brillante ma Ops ! Noiosa, scontata e disarmante a tratti sgarbata, la commedia portata in scena con la regia e cura dei testi di Giovanni Pelliccia. Il pubblico che riempie il teatro si abbandona sulle rosse a caldi sedie, qualcuno nei palchetti si accomoda stremato su un pilastro o magari sulla spalla dell’amico; ogni tanto un applauso per scacciare il tedio o per premiare uno degli attori che sporadicamente crea qualche emozione. La scena della commedia è presa da due tavoli qualche oggetto da ristorante ed un orrendo candelabro stile ottocento al centro del palco, acceso e di una luce assordante che a qualche spettatore seduto nelle ultime sedie crea problemi di visibilità. Rilevante ed audace la scelta di recitare senza l’ausilio di microfoni, una delle scelte azzeccate se non fosse per qualche attore che in diverse occasioni anziché recitare sembra sussurrare. E’ il caso di Severino, nella vita Tonino Labella, un esperto e bravo attore che delude ; da personaggio farfallone diventa scioccante e goffo, troppo lento il suo modo di recitare, all’apertura del sipario incomprensibili ed impalpabili le sue battute che diventano con passare del tempo macchinose come inseguiti si dimostrano i suoi movimenti, probabilmente una serata no per l’esperto attore. Riuscita la scelta dell’attrice che interpreta l’amate, Lucia Sabia nella pièce: Mericlaire. Crea qualche momento di ilarità, ma la scena comica si ripete troppe volte allo stesso modo creando ancora una volta stanchezza mentale nel pubblico. Si dimostra grossolana forse trascinata nell’oblio dalla serata no di Tonino Labella .
Un “deus ex Machina ” , un jolly il giovane attore Dino Lopardo, il cameriere Filux nel disperato tentativo di rendere la scena più dinamica, si dimostra bravo nella recitazione ma è trascinato da un testo scontato e da movimenti insensati nell’indifferenza del pubblico. Nel secondo atto l’entrata del quarto ed ultimo personaggio. La moglie del protagonista Isabelle, nella vita Isabella Urbano. Se il primo atto si dimostra noioso, nel secondo si è ad un passo dal sonno profondo. Ma Isabella Urbano è una piacevole sorpresa, entra in un personaggio particolare, quasi in sordina, con un eleganza peculiare. Trascina la scena su note più dolci, il suo modo di porsi è sublime, aiutata dalla sua straordinaria bellezza trascina il pubblico in un mondo incantevole. Nonostante un secondo atto che non dice praticamente nulla, la scena tra Isabelle accondiscendente alle lusinghe di un Filux conquistatore, si rivela sopra la media dello spettacolo. La conclusione è scontata non poteva essere altrimenti per una commedia con un testo prevedibile. Un applauso povero e di circostanza per il pubblico che si esalta timidamente solo all’uscita della fiabesca Isabella Urbano, prima di consegnarsi alle dolci e sospirate lenzuola del proprio letto.
lunedì 4 gennaio 2010
Domenico Gaito ambasciatore ORVAL
da " Il quotidiano della Basilicata"
Il giovane di Sasso di Castalda è il 350° ambasciatore nel mondo a ricevere il riconoscimento
Domenico ambasciatore della Birra ORVAL
di Francesco Altavista
Sasso di castalda - La Basilicata, regione votata naturalmente alla Bellezza, è un luogo di contraddizione, dove per molti è impossibile esprimersi con la propria arte o con il lavoro, non è il caso di Domenico Gaito di Sasso di castalda. Il giovane sassese a soli 36 anni, è stato dichiarato il 350° ambasciatore mondiale della Birra Orval, candidato dall’ambasciatore italiano della birra belga, il signor Cesare Assolari, in un grande rituale –festa dal 8 al 10 dicembre nella suggestiva abazia dei monaci Orval al sud della Vallonia in Belgio. Una grande onorificenza per Domenico Gaito che certifica non solo il suo amore e la sua passione, ma anche una vera è propria arte che consiste nel apprezzare la Birra. Apprezzare significa anche conoscere la sua tradizione, saperla servire, saper cercare quelle proprietà non visibili a primo impatto e coniugarle con le proprie esperienze e la propria forza, un po’ come fa un pittore per i suoi quadri o un poeta per i suoi scritti. Un titolo, arrivato dopo un attento esame al locale e al modo di far degustare la birra che nella Basilicata dei conflitti ha un peso maggiore, soprattutto se si viene da un paesino come Sasso di Castalda o come tanti altri, dove bere significa ubriacarsi. Domenico Gaito è l’unico lucano ad aver ricevuto questo titolo ed è uno dei soli nove ambasciatori in tutto il sud Italia, il solo che possiede un locale non vicino a grossi centri quali Napoli o Bari. La Birreria Orval è una delle sole nove che segue in Belgio alla perfezione la tradizione antica. L’abazia è stata fondata da due monaci calabresi dell’ordine dei Cistercensi (seguono la regola benedettina) nel 1074; il mastro birraio è un monaco ed è il solo insieme agli altri sette monaci a sapere la ricetta e i modi di preparazione ma anche il tipo di coltivazione degli ingredienti che si tramandano solo all’interno dell’abazia infatti i religiosi non hanno alcun contatto con persone esterne, solo un fratello designato può avere rapporti con l’esterno e si avvalgono dell’aiuto di laici, come operari e operatori di marketing. Domenico Gaito ci spiega che queste birrerie fanno un accurato studio sulle falde acquifere e in nessun modo queste devono essere inquinate. I monaci Orval sono riusciti a valutare la loro Bellezza e la loro tradizione, con un rispetto devoto all’ambiente, il tutto fuori dai meccanismi commerciali delle multinazionali, anche per questo motivo non risentono della crisi mondiale. “ Sono stati bravi ad elogiare le loro tradizioni, fanno quel prodotto e sanno che vale , hanno conciliato tradizione, cura esasperata del prodotto e soprattutto il saper valutare” ci spiega Domenico Gaito. Non solo degustazioni per quest’ultimo che spesso si intrattiene con i propri clienti in veri e propri mini seminari sul Birra, dove ci si ubriaca di conoscenza e cultura; è un esperto, un artista della degustazione, un saggio della birra, un esempio lucano consapevole che porta conoscenza ed esempio di culture che hanno superato i conflitti che in Basilicata sembrano insormontabili. Le sue discussioni sulle tradizioni birraie si sposano a degustazioni che si concludono spesso con una frase dei monaci che a Gaito piace particolarmente “ Una birra fatta con sapienza si beve con saggezza “
Il giovane di Sasso di Castalda è il 350° ambasciatore nel mondo a ricevere il riconoscimento
Domenico ambasciatore della Birra ORVAL
di Francesco Altavista
Sasso di castalda - La Basilicata, regione votata naturalmente alla Bellezza, è un luogo di contraddizione, dove per molti è impossibile esprimersi con la propria arte o con il lavoro, non è il caso di Domenico Gaito di Sasso di castalda. Il giovane sassese a soli 36 anni, è stato dichiarato il 350° ambasciatore mondiale della Birra Orval, candidato dall’ambasciatore italiano della birra belga, il signor Cesare Assolari, in un grande rituale –festa dal 8 al 10 dicembre nella suggestiva abazia dei monaci Orval al sud della Vallonia in Belgio. Una grande onorificenza per Domenico Gaito che certifica non solo il suo amore e la sua passione, ma anche una vera è propria arte che consiste nel apprezzare la Birra. Apprezzare significa anche conoscere la sua tradizione, saperla servire, saper cercare quelle proprietà non visibili a primo impatto e coniugarle con le proprie esperienze e la propria forza, un po’ come fa un pittore per i suoi quadri o un poeta per i suoi scritti. Un titolo, arrivato dopo un attento esame al locale e al modo di far degustare la birra che nella Basilicata dei conflitti ha un peso maggiore, soprattutto se si viene da un paesino come Sasso di Castalda o come tanti altri, dove bere significa ubriacarsi. Domenico Gaito è l’unico lucano ad aver ricevuto questo titolo ed è uno dei soli nove ambasciatori in tutto il sud Italia, il solo che possiede un locale non vicino a grossi centri quali Napoli o Bari. La Birreria Orval è una delle sole nove che segue in Belgio alla perfezione la tradizione antica. L’abazia è stata fondata da due monaci calabresi dell’ordine dei Cistercensi (seguono la regola benedettina) nel 1074; il mastro birraio è un monaco ed è il solo insieme agli altri sette monaci a sapere la ricetta e i modi di preparazione ma anche il tipo di coltivazione degli ingredienti che si tramandano solo all’interno dell’abazia infatti i religiosi non hanno alcun contatto con persone esterne, solo un fratello designato può avere rapporti con l’esterno e si avvalgono dell’aiuto di laici, come operari e operatori di marketing. Domenico Gaito ci spiega che queste birrerie fanno un accurato studio sulle falde acquifere e in nessun modo queste devono essere inquinate. I monaci Orval sono riusciti a valutare la loro Bellezza e la loro tradizione, con un rispetto devoto all’ambiente, il tutto fuori dai meccanismi commerciali delle multinazionali, anche per questo motivo non risentono della crisi mondiale. “ Sono stati bravi ad elogiare le loro tradizioni, fanno quel prodotto e sanno che vale , hanno conciliato tradizione, cura esasperata del prodotto e soprattutto il saper valutare” ci spiega Domenico Gaito. Non solo degustazioni per quest’ultimo che spesso si intrattiene con i propri clienti in veri e propri mini seminari sul Birra, dove ci si ubriaca di conoscenza e cultura; è un esperto, un artista della degustazione, un saggio della birra, un esempio lucano consapevole che porta conoscenza ed esempio di culture che hanno superato i conflitti che in Basilicata sembrano insormontabili. Le sue discussioni sulle tradizioni birraie si sposano a degustazioni che si concludono spesso con una frase dei monaci che a Gaito piace particolarmente “ Una birra fatta con sapienza si beve con saggezza “